PERCHE’ LE PERFORAZIONI PETROLIFERE DANNEGGIANO L’AMBIENTE

Anche la zona del Vulture corre seri rischi d’inquinamento.


La Basilicata rischia di diventare la “gruviera” d’Italia a causa delle trivellazioni selvagge per il petrolio. E i lucani non potranno farci niente. L’articolo 38 della legge “Sblocca Italia”, checché se ne dica, toglie ai lucani ogni possibilità d’impedimento alle ulteriori trivellazioni petrolifere ovunque e comunque. 

Con buona pace dei politici nostrani, delle numerose organizzazioni ambientaliste e dei tanti movimenti dei cittadini “ Non alle trivelle” che inutilmente hanno cercato ”disperatamente” con vibranti manifestazioni di piazza (l’ultima quella di Melfi dei giorni scorsi), di far sentire la loro voce di dissenso e di opposizione. Benché qualcuno canti vittoria in seguito alle modifiche apportate al famigerato art. 38, l’ultima parola spetterà al Governo con gli esiti facilmente prevedibili. Ma sono i lucani veramente consapevoli e pienamente a conoscenza dei gravissimi rischi che le perforazioni petrolifere nella regione produrranno all’ambiente lucano e alla salute dei suoi abitanti? Si parla tanto, negli ultimi tempi, di royialtes, dei milioni di euro che arriverebbero nelle casse regionali, dei vantaggi sul piano economico per le popolazioni lucane. Ma nessuno, o quasi, parla in maniera chiara e convincente dei danni sia per la salute dei cittadini e sia dell’irreversibile danno ambientale che comprometterebbe la vera ricchezza della nostra regione: acqua, vino, pregiati prodotti agroalimentari, senza parlare delle potenzialità artistiche, storiche e turistiche. Chi dice, per esempio, dei costi altissimi sul piano sanitario e sociale, per fronteggiare e curare i sempre più numerosi malati affetti da patologie tumorali? Vogliamo tentare, nei limiti delle nostre capacità, di fare luce su tali aspetti riprendendo quanto illustrato in un convegno di Matera qualche tempo fa e pubblicato sulla Nuova del Sud Basilicata a firma di Debora Desio. Com’è stato ampiamente spiegato da studiosi chiara fama, fra cui la dott.ssa Maria Rita D’Orsogna, docente di fisica presso l’Università di California ed esperta chiamata in diversi convegni nazionali in Italia, i giacimenti petroliferi dalle nostre parti sono scomodi da raggiungere e profondi. La prima fase di lavorazione, quindi, necessita di fanghi e fluidi perforanti (altamente tossici) che permettono di lubrificare la trivella e cementificare il pozzo. Questi fanghi sono composti da oltre 500 diverse sostanze. L’iniezione di tali fanghi, durante la fase di perforazione e di tutta l’esistenza del pozzo stesso, libera nel terreno circostante quanto nelle falde acquifere sostanze tossiche altamente inquinanti. Questi fanghi e fluidi necessitano di una fase di smaltimento complicata e molto onerosa, per cui spesso vengono smaltiti illegalmente. Le compagnie petrolifere non dichiarano i componenti di questi fanghi, ma alcuni studi hanno ritrovato tracce anche di sostanze radioattive. Senza dire che il petrolio italiano, compreso quello della Basilicata, secondo l’ENI, risulta “amaro e pesante”, non di ottima qualità. Pesante perché le molecole che lo compongono sono troppo lunghe per trasformarlo in benzina, amaro perché impuro per l’elevata presenza di gas sulfurei. Infatti, nella scala di purezza del petrolio si va da un minimo di 8 (il peggiore), ad un massimo di 50 (il migliore), quello lucano è 15. Troppo corrosivo quindi per percorrere Km di oleodotto, distruggerebbe le condutture, per cui alle compagnie petrolifere conviene costruire i famosi “Centro Oli” in cui si divide il petrolio senza zolfo dallo zolfo solido. Vedi Centro Oli di Viggiano e quello in allestimento di Corleto Perticara). Questo processo immette nell’aria idrogeno solforato, in altre parole la fiamma sempre accesa. L’idrogeno solforato è altamente tossico. Quindi il rilascio costante nell’aria di tale sostanza ha come effetto collaterale disturbi della pelle, degli occhi, ai polmoni, difficoltà respiratorie, bronchite, nausea, confusione, depressione. A lungo andare, danni permanenti. Tumori e cancro. A una persona autorevole cui abbiamo fatto presente questo stato di cose, ci ha candidamente risposto: “E vi lamentate voi, avete l’oncologico!”. Ma vi sono altri rischi gravi a causa delle perforazioni petrolifere. Ci riferiamo ai danni verso l’ambiente. Le estrazioni continue su un territorio provocano attività sismica e il fenomeno della subsidenza. Studi sulla sismicità in ambito petrolifero hanno evidenziato il rischio di attività sismica indotta che può verificarsi nei territori interessati dalle estrazioni, scosse che in taluni casi possono raggiungere anche 6-7 gradi sulla scala Richter. La Basilicata, e la zona del Vulture in particolare ad alta sismicità, vengono già periodicamente colpite da gravi terremoti (1930, 1980 per citare gli ultimi e i più disastrosi) che hanno lasciato tristemente il segno. La subsidenza, invece è il fenomeno per cui “svuotando” il sottosuolo si abbassa il livello del terreno per i vuoti che si creano. Si tratta di un fenomeno questo irreversibile e che non si può neppure fermare. Un discorso a parte c’è da fare per quanto riguarda il beneficio economico derivante dai milioni di royalties che “pioverebbero” sulla nostra regione. C’è da dire che esse sono irrisorie rispetto ai benefici che dal petrolio estratto ne ricavano le compagnie petrolifere e lo Stato centrale. Percentuale di gran lunga inferiore di quella pagata altrove (In Libia del 90%, in Norvegia il l80%, in Canada il 60”, in la Russia e l’Alaska del 60%, per fare alcuni esempi). In Basilicata pare al 7%, quindi, il petrolio è quasi svenduto. Domanda: i milioni di royalties già incassati dalla Regione negli anni scorsi dalle estrazioni petrolifere quanto e come hanno migliorato le condizioni economiche, sociali e culturali delle popolazioni lucane? I dati che ci vengono “snocciolati” in questi ultimi tempi sono impietosi. Come se non bastasse la collocazione dei lucani al primo posto per povertà, si aggiungono i dati allarmanti della disoccupazione galoppante, della chiusura di fabbriche, del continuo fallimento di piccole imprese artigiane e chi più ne ha più ne metta. Però, circa quattro milioni di euro per “feste e festicciole”, “sagre a sagrette” paesane ovunque, elargiti dalle Regione Basilicata nell’estate scorsa sono usciti. Viene quasi da ricordare il famoso detto borbonico: “Festa, farina a e forca”. A ciò servirebbero anche gli eventuali ulteriori milioni di euro previsti dalle maggiori estrazioni petrolifere in Basilicata? Ad incrementare clientela e aumentare consensi elettorali? Tutto quanto detto sopra dimostra quanto sia grave il rischio che corre la nostra regione per le cosiddette “trivellazioni selvagge” e che dovrebbero seriamente far riflettere tutti i lucani e, in primis, la classe politica che ci governa. Strano che il sindaco di Melfi, Livio Valvano (PSI), si senta “in una botte di ferro”, nel senso di ritenersi sicuro che le trivellazioni petrolifere non interesseranno anche l’area del Vulture. Tanto da non voler chiedere, a differenza di altri sindaci dell’area, al presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella, di impugnare il famigerato art. 38 della legge “Sblocca Italia”. Eppure pare che sia già iniziato da parte di alcune compagnie petrolifere “l’assalto alla diligenza”. Infatti, sono pervenute domande di perforazioni anche nell’area nord della Basilicata (Bicocca, Palazzo San Gervasio, S. Fele e Frusci) e che interesserebbero i comuni di Melfi, Rapolla, Ginestra, Atella, Filiano, Forenza, Ripacandida, Venosa, Barile ed altri ancora. Insomma, si andrebbe incontro a un inquinamento scellerato ambientale e che causerebbe seri danni alla salute che non trovano una cifra che possa pareggiare il conto. Perciò: meditate lucani, e meditate seriamente! Prima che sia troppo tardi. ” Difendiamo la nostra terra e il nostro futuro!”. 

 Michele Traficante

Commenti