Gaudiano, la chiesetta di San Pasquale in grave stato di degrado.


Era parte integrante della fiorente tenuta agricola della famiglia Fortunato.
di Michele Traficante e Leo Vitale

Il povero don Giustino si sta rivoltando  nella tomba di fronte allo stato di abbandono e di grave degrado con rischio di crollo in cui si trova la chiesetta di San Pasquale Bayilon che era  parte integrante della fiorente azienda agricola – zootecnica di famiglia in quel di Gaudiano di Lavello.
Oggi è piccolo centro abitato con un vasto territorio, in passato fu importante insediamento romano a difesa di Venosa, poi feudo della Mensa vescovile di Melfi, quindi vasto latifondo della famiglia Fortunato di Rionero, portato a notevole grado di sviluppo da Ernesto Fortunato (1850 – 1921), che ne fece una masseria modello, con una palazzina residenziale e una chiesetta.


Nei primi decenni del 1900 tutto fu abbandonato e cominciò a rovinare; con la Riforma Fondiaria degli anni ’50 i terreni furono espropriati e assegnati a diversi coloni, che provvidero a modificare la vecchia tenuta con moderne costruzioni, trascurando del tutto la cura della palazzina, i cui locali furono spartiti tra di loro, e della chiesetta, ormai fatiscente, circondata da erbacce, con il tetto quasi del tutto caduto, dal quale emergono punte di alberelli.
Soprattutto la chiesetta è un monumento da non far venir meno, testimonianza di un pezzo di storia da non dimenticare. Essa fu fatta costruire dai fratelli Giustino ed Ernesto Fortunato nel 1899 su progetto dell’architetto napoletano Gustavo Scelzo, progettista anche della vicina palazzina e del Palazzo di Rionero, fu dedicata a San Pasquale Baylon, a ricordo del loro padre Pasquale (1814-1879), e benedetta l’8 giugno 1900 dall’allora vescovo di Melfi e Rapolla, mons. Giuseppe Camassa. Sorse a poca distanza da una preesistente chiesa di San Paolo, risalente al 1310, nell’interno delle mura di Gaudiano, sotto il pontificato di Clemente V e il Regno di Roberto d’Angiò e l’episcopato a Melfi di mons. Saraceno, feudatario della stessa Gaudiano. L’erezione di questa chiesa ha del prodigioso. Pare che il luogo sia stato indicato dallo stesso Santo ad un contadino gaudianese, tale Nicola, al quale era apparso più volte. Esiste tutt’oggi, in Gaudiano, la contrada San Paolo a ricordo del luogo ove sorgeva la chiesa ormai scomparsa.
Nonostante lo stato rovinoso della chiesetta, è possibile ancora leggere sul portale un’iscrizione che invita ad adorare Dio, per il quale tutto vive (REGEM // CUI OMNIA VIVUNT // VENITE ADOREMUS // A. D. MDCCCIC - ). Sulla parete posteriore della chiesetta è posta una lapide in pietra con la scritta che ricorda gli artefici del manufatto: GUSTAVO SCELZO – Architetto da Napoli. / GENNARO DE STEFANO – Muratore da Napoli / FRATELLI CRISTOFARO – Scalpellini da Rionero. Altri documenti epigrafici di epoca romana rinvenuti nella zona furono murati, per volere di don Giustino, e sono tuttora esistenti, lungo le pareti esterne del piccolo edificio, a memoria dell’importanza strategica di Gaudiano per Roma. Nel recente sopralluogo s’è constatato che le epigrafi, a causa del tempo che ne ha corroso i caratteri e dell’invadente e alta vegetazione, sono diventate, purtroppo, di difficile lettura e si deve essere grati a Mauro Carretta di Lavello che le ha registrate e ne ha riportato il testo in Radici (dicembre 1992). All’interno è visibile l’architrave di pietra arenaria propria della chiesetta di San Paolo, riportante un’iscrizione del 1310, che Giustino Fortunato volle preservare collocandola nella nuova chiesetta. Questa pietra, raro avanzo tangibile della distrutta Gaudiano, è l’unico messaggio di una civiltà scomparsa circa sette secoli fa.  
L’immobile denominato “ Masseria Fortunato” con decreto del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali (Finocchiaro – ministro) del 27 settembre 1989 è stato dichiarato di interesse particolarmente importante ai sensi della Legge 1/6/1939 n.1089 e quindi sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nella legge stessa. Il testo del decreto è riportato da Fernando Calice, La masseria Fortunato a Gaudiano, in Radici, n. 11- dicembre 1992, pag.149.
A quanto pare, però, tutto è rimasto sulla carta.


Noi abbiamo visitato questi luoghi per la nostra pubblicazione Corrispondenze di Giustino ed Ernesto Fortunato. Lettere inedite a Vincenzo Granata e Michele Mennella, Rionero 2008 e abbiamo, purtroppo, costatato lo stato di pietoso degrado e abbandono. In verità, già intorno al 1918, a causa del definitivo abbandono di Gaudiano da parte di don Ernesto (il quale, per ragioni di salute, si era ritirato presso l’abitazione del fratello a Napoli), la chiesetta aveva perduto il suo carattere sacro e adibita a magazzino per la conservazione di sacchi di mandorle; nel 1976 era già utilizzata come deposito di balle di paglia e nel 1981 come stalla per le pecore.  Fino a quando Antonia Fortunato Alliata (1884 – 1941), figlia di Luigi Fortunato (1857 – 1913) frequentava almeno nei mesi estivi e, durante il secondo conflitto mondiale, la tenuta di Gaudiano, la palazzina e la chiesetta si conservavano in uno stato accettabile. Dopo la sua morte, i figli Pasquale (1940 – 1984), Vittoria 1912 – 1981), Luigi (1914 – 1938) e Chiara Isabella disertarono sistematicamente l’azienda di famiglia che pure avevano ereditato con testamento di don Giustino del 6 luglio  1930, insieme al palazzo di Rionero in Vulture, venduto questo al comune di Rionero nel 1973 per la somma di 32 milioni delle vecchie lire. Dopo alterne vicende, con la Riforma Fondiaria degli anni ’50 del secolo scorso il vasto latifondo venne per la maggior parte (circa 10240 ettari di terreni) espropriato e assegnato a diversi coloni. Il centro residenziale e circa 200 ettari della tenuta rimasero agli eredi Alliata, i quali vendevano ad alcuni privati cittadini di Lavello; questi a loro volta, si sono letteralmente spartiti i vari locali della palazzina, che fu il caro “piccolo santuario” di don Giustino. Negli ultimi tempi nella chiesetta è stato abbattuto l’altare interno, la porta bruciata e il tetto sfondato e crollato in buona parte, tanto che riaffiora addirittura qualche cima di alberello.


Come salvaguardare questo monumento non sta a noi suggerire rimedi. Alle istituzioni preposte alla conservazione dei beni di valore storico, non è data, probabilmente, la possibilità d’intervenire, essendo la tenuta di proprietà privata. Noi possiamo soltanto esortare i proprietari ad averne cura, consapevoli che tra coltura e cultura c’è stretta relazione. Pur se dediti prevalentemente alla coltivazione, con mezzi moderni ma secondo regole antiche, per far bene, essi devono certamente possedere una cultura e questa non è solo conoscenza specifica di un mestiere, arte o professione, ma implica anche un patrimonio di credenze e tradizioni che dal passato è stato a loro tramandato. 

Commenti

  1. Quando feci un sopralluogo nell'area per elaborare uno studio utilizzato per la mia tesi di laurea la chiesetta versava da tempo in precarie condizioni. Naturalmente la tutela che dovrebbero fare i proprietari del bene in oggetto, come di tantissimi altri beni culturali di proprietà privata cui è disseminato il Paese, si scontra con l'interesse economico, le possibilità dei proprietari. E' lo stesso problema che hanno i proprietari di dimore storiche riuniti nell'A.D.S.I.

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