Boreano si tinge di nero: si resta invisibili e nascosti

 “Sono Zida. Non vivo qui, sono sceso per la campagna del pomodoro. Vivo a Pordenone in realtà. Studiavo a Firenze meccanica, ma non riuscivo a pagarmi la retta universitaria e ho lasciato. Ho dovuto abbandonare il mio sogno per guadagnarmi da vivere”. Questa è la storia di un giovane ragazzo di 22 anni del Burkina Faso, che vive nelle campagne di Boreano.
Condivide il suo posto per dormire con altre 50 persone. Questa è la storia che si ripete tutti gli anni nelle nostre campagne, quelle dell’ Alto Bradano per la campagna del pomodoro. Sono davvero in tanti che scelgono di venire qui, in condizioni disagiate, costretti a vivere in alloggi di fortuna, vecchi casolari, baracche, tende sistemate a ridosso delle campagne.


Non hanno acqua e hanno poco cibo: le risorse idriche sono carenti e le autobotti cariche d’acqua quest’anno non si sono viste. In fila indiana, si alzano all’alba questi lavoratori stagionali e raggiungono i loro accampamenti, alla fine di una giornata di duro lavoro. Impiegati per lo più al nero, non sono pagati a ore, ma a cottimo. 3,5 euro ogni cassone di 300 chili per un lavoro sfiancante. Senza contratto di lavoro, né copertura sanitaria e alla mercé dei “caporali” – gli intermediari tra lavoratori e datori di lavoro. 


Se hanno fame a metà giornata, sgranocchiano di nascosto un pomodoro e bevono acqua nei flaconi precedentemente destinati a medicine. La sera, rientrano nel loro campo, dove hanno un “posto letto”: un materasso all’aria aperta o in una baracca di fortuna. A Palazzo San Gervasio, la Croce Rossa Italiana con molto ritardo (sicuramente non per loro colpa: la campagna del pomodoro inizia a giugno/luglio e tra tre settimane finisce) l’altro giorno ha aperto il primo di due centri di accoglienza per lavoratori stagionali. Non è ancora operativo quello di Venosa dove sussiste una “situazione inaccettabile”: in contrada Boreano, lungo la strada Mulini Matinelle ed in alcuni insediamenti sparsi nel territorio, i lavoratori, pur con regolare permesso di soggiorno, vivono “in edifici fatiscenti senza acqua potabile, energia elettrica, servizi igienici e senza che venga fornito un regolare servizio di raccolta dei rifiuti”, segnalano associazioni e comitati di cui fanno parte anche medici. 


Secondo la mia visione, non è abbattendo le baracche e murando le porte delle masserie che si risolve il problema. E non si possono costringere i migranti ad andare nei centri di accoglienza. Si può invece agire in maniera tempestiva andando nei campi di persona, dando un aiuto tangibile attraverso pasti caldi, distribuzione dell’acqua, beni di prima necessità, sopravvivenza e sussistenza che possono essere distribuiti dalle associazioni e dai volontari impegnati giornalmente nell’integrazione di queste persone. Ci sono ragazzi giovani che vorrebbero studiare, fare corsi di formazione, lavorare e restare. Sono costretti appena finita la campagna ad andare via e a restare invisibili. Sono loro stessi che ci chiedono di rendersi utili, e hanno diritto al trattamento tra pari. Faccio un appello chiedendo aiuto al Sindaco di Venosa Tommaso Gammone: per via delle recenti alluvioni, alcune strade e fontane rurali sono diventate impraticabili. Per esempio la strada che porta verso la Fontana della “Signora Rapolla” è inaccessibile per via del fango e la fontana non eroga acqua. 

Chiedo al Sindaco e all’amministrazione comunale, sensibili a queste problematiche, di sgomberare le strade e di fare manutenzione delle fontane rurali, utilizzando così come fa il Comune di Lavello, i forestali che saranno attivi dal 24 agosto abbattendo i costi di gestione e pulizia. Questo permetterebbe di tamponare parzialmente la necessità vitale di acqua.

Commenti