Murante su condizione femminile in Fca (ex Sata) di Melfi

“Il personale è politico”. Con questo slogan il movimento femminista negli anni '70 rivendicava il ruolo della donna nella politica e società italiana, chiedendo a gran voce la parità di genere. Le doglie, le mestruazioni, la vagina – l'universo femminile – dovevano avere diritto di cittadinanza nel dibattito e nella sfera pubblica. Questo tema ritorna oggi tra le lavoratrici della Fiat-Sata di Melfi, le tute chiare della Fiat che mortificano il corpo e la sfera
intima delle donne lavoratrici.
Ma il tema delle “tute chiare” rischia di essere beffeggiato e relegato a mero dettaglio se non si inserisce in una discussione più articolata e complessiva. Perché il mestruo femminile e il rispetto per la sfera intima delle lavoratrici è solo l'ennesimo tassello di un reiterato sistema di denigrazione dei diritti e della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori nello stabilimento di Melfi. Perché se ci soffermassimo solo ed esclusivamente sulla vicenda – di per sé deplorevole – del rispetto del corpo femminile, rischieremmo di derubricare dal dibattito pubblico l'attacco feroce che da anni si perpetua a danno della dignità delle operaie e degli operai in quello stabilimento. Rischieremmo di trincerarci dietro una sfumatura che nasconde ben e più seri problemi che da mesi, inascoltati, denunciamo come Sinistra Ecologia Libertà di Basilicata. Rischieremmo di mettere in secondo piano il fatto che le assunzioni annunciate non riassorbono neppure, ad esempio, i mancati rinnovi dei contratti interinali di alcuni anni fa. Che le condizioni lavorative e la compressione dei diritti rischiano di essere proibitive per un lavoro che possa dirsi tale. Che il ricatto occupazionale viene utilizzato come strumento di livellamento verso il basso non solo delle condizioni materiali, bensì anche morali, di quante e quanti hanno la fortuna di avere un posto di lavoro e che oggi a Melfi i turni sono proibitivi ma la assenza di diritti pone i giovani lavoratori di fronte a un costante e progressivo ricatto. Per di più, essi continuano a essere considerati come privilegiati da parte chi non lavora, secondo la più classica lotta degli ultimi contro i penultimi. Che il diritto ad un lavoro dignitoso che sappia compensare e rispondere alle esigenze dei ritmi di vita e della stessa natura sociale dell'uomo vengono costantemente messi a rischio da una turnazione selvaggia e da carichi di lavoro insostenibili che di fatto minano la dimensione umana delle lavoratrici e dei lavoratori. Che la riduzione della pausa all'interno dei singoli turni non permette, di fatto, a quelle donne e a quegli uomini di poter sopperire alle minime esigenze corporali. Perché siamo convinti che il solo modo per riorganizzare la società, per creare massa critica e coscienza di classe, non può che iniziare dal mondo del lavoro e della riapertura di un conflitto che oggi si vorrebbe negare e neutralizzare, in cui il lavoro da strumento di liberazione sta diventando arma di ricatto e di moderna schiavitù. 

 Maria MURANTE Coordinatrice regionale SeL Basilicata

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