Importata dagli albanesi rappresenta la più rinomata festa dell’Immacolata - LA FESTA DELLE “PANEDUZZE” A MELFI

Abbinata al tradizionale “Concerto dell’Immacolata”, giunto alla edizione

di Michele Traficante

Una delle ricorrenze popolari più sentite a Melfi è senza dubbio la festa delle “paneduzze”. La tradizionale manifestazione, da alcuni anno, è abbinata all’ormai noto “Concerto dell’Immacolata”, che richiama un pubblico numeroso e tanti appassionati di musica .

La tradizione della festa delle “panedduzze”, cioè del pane azzimo, ottenuto senza lievito, si collega alla più nota e, folcloristicamente, assai più interessante manifestazione storica della città federiciana: la Pentecoste o dello Spirito Santo. Infatti, le due celebrazioni sono strettamente collegate fra loro. Melfi, il 23 marzo 1528, domenica di Pasqua, quella che fu chiamata la “Pasqua di sangue” della città di Melfi, dovette soccombere alle truppe francesi di Lautrec le quali, oltre a trucidare gran parte della popolazione, distrussero quasi totalmente la città. Infatti, così scrive a tal riguardo Gennaro Araneo nel suo libro “Notizie storiche della città di Melfi:
” Questa vandalica distruzione, fece cessare in Melfi il gran commercio che essa aveva colle limitrofe province, come pure rimasero chiuse tutte le officine di manifatture di vario genere, ed una città frequente di circa 30 mila anime fu ridotta a non contarne più di 5 mila”.


In tale frangente s’inserisce l’episodio del boscaiolo-bottaio melfitano Cerone Battista, definito il “Pietro Micca lucano”, il quale in uno slancio di eroismo fece strage degli invasori con la ronca, sino a quando, colpito alle spalle dai soldati francesi, soccombette. In suo onore e ricordo il corso principale della città venne denominato “Ronca Battista”, lungo il quale si trova appunto la chiesa”albanese” di “Santa Maria ad Nives”. I melfitani superstiti, che si erano rifugiati in una macchia di castagneti detta Selva di Santo Spirito, posta nel folto bosco del Vulture, ove poi venne costruita una rozza chiesetta rupestre con un solo altare e con una sola nicchia, (detta appunto dello Spirito Santo), rientraono in città la domenica di Pentecoste.
  L’imperatore Carlo V di Spagna, con diploma dell’anno 1529, onorò Melfi col titolo di “fedelissima”, esentandola per dodici anni da tutte le contribuzioni fiscali ed invitando con un apposito editto i forestieri a ripopolarla.
Così, nel 1534 arrivarono a Melfi trenta famiglie di albanesi, appartenenti alla colonna dei Koronei, guidate dal capitano Zoan Zuzera ( che in italiano si legge Chiuchiera).



I nuovi arrivati si stabilirono nel rione, totalmente distrutto dai francesi di Lautrec, che poi fu chiamato Chiucchiari ed è ancora oggi conosciuto con tale nome.Uno di questi albanesi vi costruì anche una chiesa, quella di Santa Maria ad Nives (posta nella centralissima Via Ronca Battista), come si legge appunto nell’iscrizione lapidea posta sopra l’architrave della porta d’ingresso “Questa ecclesia ha edificato messer Georgino Lapazzaia, albanese, dalle pedamenta nel 1570”.
Nel 1597 i Coronei vennero in dissidio con gli abitanti locali e andarono via stabilendosi a Barile, dove si ricongiunsero ad altre famiglie della loro terra.
Questo popolo albanese lasciò comunque in Melfi usi e tradizioni propri e, fra queste appunto quella delle “panedduzze”, istituita nella chiesa da loro costruita. Così questa tradizione si ripete, di anno in anno, con identico interesse e partecipazione di popolo,
proprio l’otto dicembre, festa dell’Immacolata Concezione, “perché – dicono gli


anziani – come la Vergine Maria ha concepito Gesù senza seme, così questi pani sono ottenuti senza lievito”. Come si sa la festa dell’Immacolata Concezione fu introdotta da Papa Pio IX nel 1854, quando solennemente dichiarò come dogma di fede che la Madonna, fin da suo concepimento, non è stata mai soggetta al peccato d’origine come ogni mortale. A tal riguardo qualche anno fa  ha  scritto, fra l’altro, il poeta melfitano Sergio Cappiello: “ Re paneduozzzze, ca so’ peccenenn e tost come r ffirr / e li cuntadene, p na bonannate, r’ menene jend r ttirr, / come a lore, pure lu core nustr s jè senza crescende / rumane tust e non jé capace d vulé bbéne  a l’ata gende”. ( Le “paneduzze”, che sono piccole e dure come il ferro / e i contadini, per una buona annata, gettano nei terreni / come loro, pure il nostro cuore se è senza lievito, resta duro e non è capace di volere bene  all’altra gente).
Quest’anno la manifestazione, come sempre promossa ed organizzata dalla Pro Loco “Federico II” con la collaborazione della Confraternita “Santa Maria ad Nives”, col patrocinio della Regione Basilicata, della APT Basilicata e della città Melfi ha avuto il suo momento clou nell’applauditissimo concerto tenuto dai dal gruppo dei “Damadakà” che ha deliziato il numeroso pubblico con l’esecuzione dei tradizionali canti natalizi partenopei e non solo. Ad incominciare dalla classica pastorale in dialetto napoletano  “Quanno nascette ninno” di Sant’Alfonso de’ Liguori, più nota poi, in italiano, come “Tu scendi dalle stelle”. Un concerto che ha entusiasmato e che ha fatto rivivere il Natatale di un tempo, grazie alla bravura dei musicisti e strumentisti di arpa, castagnette, chitarra, ciaramelle, tamburo, fisarmonica, flauto  Michele Arpa, Daniele e Dario Barone, Felice Cutolo, Giovanni Saviello, Mario Musetta e alla splendida voce di Margaret Januario.

In occasione della XIX edizione de “Re panedduzze” e del concerto dell’Immacolata, organizzato dalla Pro Loco di Melfi, il Club Auto e Moto d’epoca hanno animato le strade cittadine con il 2^ raduno delle Panedduozze.  Le auto  che si erano radunate dalle 9 alle 10 nel piazzale della stazione, hanno effettuato  la passeggiata per le mura della Città, Poi c’è stata  l’esposizione in Largo S. Antonio, seguita dalla Santa Messa, la benedizione degli equipaggi e la distribuzione delle panedduzze benedette. Secondo tradizione, anche quest’anno, nella chiesa di Santa Maria ad Nives, dopo la celebrazione delle sante messe della festività dell’Immacolata Concezione, è avvenuta la simpatica distribuzione delle “panedduzze”, contenute in grossi cesti e che i contadini del luogo usano, ancora oggi, gettare nei loro campi affinché la terra torni alla fertilità di un tempo in modo naturale, senza concimi e fertilizzanti chimici di nessun genere. Ricevere le “paneduzze” e distribuirle a casa, equivale a portare nelle famiglie l’augurio di prosperità, pace e fratellanza .

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