Ancora più “monnezza” all’inceneritore Fenice di Melfi?

L’area nord della Basilicata rischia di diventare un inferno ambientale
di Michele Traficante
  
Andiamo di male in peggio! E’ di questi giorni la notizia che all’inceneritore di Fenice di Melfi arriveranno altre tonnellate di rifiuti anche dal materano.
E così, come se non bastassero quelli già “smaltiti” dall’impianto melfitano altri se ne aggiungeranno per “ammorbare” l’aria dell’area nord della Basilicata.
E la Regione Basilicata che fa’? Annaspa ancora con un improbabile Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti ( PRGR)  che stenta a trovare razionale e definitivo realizzazione. Senza dire che manca del tutto un piano di previsione della  riduzione dei rifiuti solidi e interventi per l’utilizzo delle fonti energetiche  alternative. L’iniziativa dei comuni di Lavello, Rionero e Venosa, con la firma da parte dei rispettivi sindaci  di un protocollo d’intesa avvenuta il 22 febbraio scorso,  cerca di dare un valido contributo con l’avvio di una gestione unitaria dei rifiuti urbani e assimilati, anche  con la raccolta differenziata porta a porta. L’obiettivo dichiarato è  quello di evitare il ricorso alla pratica della termovalorizzazione della  Fenice. Almeno così è  nelle intenzioni.


Intanto altra “monezza” che si aggiunge  a quella già donata all’area industriale  di San Nicola di Melfi e della zona del Vulture – Alto Bradano che ora accoglierà anche quella del  materano. Non solo, visto che la  Regione Basilicata intende “garantire la salvaguardia ambientale in materia di gestione del ciclo dei rifiuti” mediante l’autorizzazione di impianti di trattamento e smaltimento (L.R. 35/2015). 


Infatti, sono tre i nuovi progetti ipotizzati nell’area nord della regione: la Ener Compost srl che prevede un flusso massimo di rifiuti di oltre 120.000 tonnellate annue; l’Alphabio  srl, che ne tratterà 160.000, la la Biometrhane Plus srl, che arriverà  a toccarne 178.000 t/a.  Addirittura la società Ener Compost srl  che dal luglio 2013 ha presentato istanza di V.I.A (Valutazione d’Impatto Ambientale), si è proposta per il trattamento di rifiuti organici di diversa origine, urbani (Frazione  Organica di Rifiuti Solidi Urbani) e speciali (Frazione Organica Stabilizzata) attraverso processi anaerobici/ aerobici (linea 1) per la produzione di biogas e/ biometano; aerobici (linea 2) per la produzione di ammendati composti misti (R3) e infine selezione e cernita (linea 3).
 Il tutto soddisfacendo ben 28 comuni dell’intera area nord  della Basilicata: Acerenza, Atella, Banzi, Barile, Cancellara, Castelgrande, Filiano, Forenza, Genzano di Lucania, Palazzo San Gervasio, Pescopagano, Pietragalla, Rapolla, Rapone, Ripacandida,  Rionero in Vulture,  Ruvo del Monte, San Chirico Nuovo, San Fele Tolve, Venosa.
Se si mette assieme tutta questa quantità di rifiuti da smaltire, secondo la previsione delle società interessate, si arriva al pazzesco numero di circa 460.000 tonnellate ogni anno. Siamo di fronte ad una vera e propria “aggressione brutale” nei confronti di un territorio con ben altre potenzialità produttive.  Non per niente, lo scorso Gennaio la Conferenza dei Sindaci dell’Area Vulture – Alto Bradano ha espresso ferma contrarietà a tale progetto, dato anche il netto contrasto con le attività agro – alimentari  già presenti nella zona ( Barilla, Auchan, Preziosi Food ecc.), senza dimenticare l’ennesimo disastro nei confronti del paesaggio già fortemente segnato dall’inquinamento. Si riuscirà a evitare tale disastro ambientale per l’area nord della Basilicata? La storia dell’inceneritore Fenice, (quello che, impropriamente si continua


a definire termovalorizzatore),  non lascia tranquilli. Esso è sorto agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso in seguito alla proposta avanzata dal Gruppo FIAT come piattaforma per la gestione dei rifiuti industriali, e sta creando non poche apprensioni nelle popolazioni del territorio. Nei giorni scorsi, poi la fuoriuscita di fumo rosso dal camino dell’inceneritore Fenice, ha allarmato ulteriormente i cittadini della zona. E non è la prima volta, essendosi verificato già nel 2014. Cosa sta bruciando l’inceneritore Fenice di San Nicola di Melfi? Se lo chiedono con insistenza le popolazioni del Vulture Alto Bradano. Le risposte dell’azienda non convincono e non tranquillizzano più di tanto.
Oggi la situazione ambientale della zona del Vulture Alto Bradano sta peggiorando e l’inceneritore Fenice ( a cui, tanto per non farci mancare niente, si aggiunge anche la Cementeria di Costantinopoli di Barile che brucia rifiuti per la sua attività;  quindi altro inceneritore) sta, a buone ragioni, allarmando le popolazioni dell’area che si chiedono: Quanto pesa il diritto alla salute? Quanto pesa  la difesa dell’ambiente

territoriale e di conseguenza la difesa dell’ambiente sociale? Quanto pesa rivendicare il diritto ad essere considerati parte integrante di quello stesso territorio?  Sono domande che aspettano risposte concrete e  tranquillizzanti, Se poi  si dovessero verificare nell’area nord della Basilicata anche  le paventate estrazioni petrolifere, stando alle istanze di ricerca e coltivazione idrocarburi avanzate da alcune società petrolifere, allora faremmo tombola!. Sia ben chiaro, comunque, che  le popolazioni del Vulture Alto Bradano si stanno organizzando e sono in grado, insieme ai vari comitati per la salute,  alle associazioni ambientaliste e alle istituzioni locali, di ottenere in ogni modo rispetto, soprattutto per salvaguardare e difendere un ambiente sano e ricco di tante potenzialità produttive naturali ( acque minerali, aglianico, olio extravergine ecc.), culturali, paesaggistiche e turistiche da lasciare integre alle nuove generazioni.

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