IChieri (To) l'associazione Vatrarberesh organizza “Mostra fotografica Balcani oltre confine”

La presenza a Chieri di numerosi cittadini provenienti dall’area balcanica ormai perfettamente integrati da anni nella nostra realtà ci rende fortunatamente poco avvezzi al tornare con la memoria alle brutture in cui quegli stessi uomini erano costretti a vivere appena vent’anni fa, catapultati spesso senza capirne la logica all’interno di una guerra feroce che stava devastando il paese che li aveva visti nascere. Le Guerre Balcaniche hanno infatti rappresentato tristemente il peggior genocidio europeo dopo la seconda Guerra Mondiale,
ispirate in maniera tanto violenta quanto assurda al principio della “pulizia etnica” e destinate a lasciarsi dietro il triste conteggio di milioni di cadaveri, di mutilati, di donne stuprate, di persone deportate in campi di concentramento, di profughi disperati. La terra jugoslava, che dalla fine della prima Guerra Mondiale vedeva convivere in un unico stato sei repubbliche, due province, sette lingue, due alfabeti e quattro religioni, aveva iniziato a subire sconvolgimenti interni durante il secondo conflitto mondiale, quando l’invasione da parte della Germania e dell’Italia portò una prima fase di sterminio del popolo serbo in difesa di quello croato. L’equilibrio tra serbi, croati e musulmani labilmente ristabilito in seguito dal regime di Tito ebbe fine già alla sua morte e l’istinto nazionalista fino a quel momento represso esplose, portando con sé il desiderio di creare stati etnicamente omogenei. E così, dal 1991 iniziò quella dolorosa disgregazione della Jugoslavia che per alcuni stati sfociò nell’indipendenza in breve tempo e senza eccessivi traumi, per altri invece, come ad esempio la Croazia e il Kosovo, il conseguimento dell’autonomia costò anni di lotte e di perdite soprattutto da parte delle minoranze etniche. Questo estenuante conflitto di tutti contro tutti durò fino al 2008 e 17 lunghi anni di guerra sono l’ombra che i superstiti trascineranno per sempre come un fardello dietro di sé. Portare a Chieri le fotografie di Paolo Siccardi significa per me dare voce a quanti in quelle terre hanno vissuto, patito e lottato. Quelle foto in bianco e nero costituiscono l’omaggio migliore alla grandezza di quei popoli. Il nero come simbolo per onorare con profondo rispetto chi oggi non c’è più, il bianco per alleggerire nei superstiti il peso dell’ombra che ogni giorno li segue. E nell’osservare quelle immagini in silenzio entreremo per alcuni istanti nel loro mondo, cercando di comprenderne sentimenti e vissuti con la maggior empatia possibile. Claudio Martano Sindaco di Chieri Paolo Siccardi, fotoreporter freelance noto per i suoi reportage dalle zone di guerra più “calde”, fissa ogni tappa del viaggio con le immagini più significative, corredate da un brevissimo scritto a commento. Il progetto visivo si apre con una fotografia simbolica del riflesso in una pozza d’acqua della rete di Gorizia, abbattuta nel 2004, che divideva i quartieri periferici della città italiana con quella slovena di Nova Gorica. Le fotografie che seguono sono un flash-back del lavoro proposto, immagini dei clandestini che negli anni Novanta, per sfuggire alle guerre balcaniche, attraversavano come oggi quella frontiera. Fermati dalla Polizia, schedati e rimandati ai loro paesi di origine, lasciavano nelle maglie bucate della rete la propria memoria (fotografie di familiari, documenti e oggetti personali per non essere identificati dalle autorità di frontiera). Quella rete per i migranti diventava la porta per l’Europa di Schengen come oggi il passaggio a nord di Subotica, in Ungheria. Il percorso prosegue ancora lungo la linea della complessa geografia rappresentata dai confini della ex-Jugoslavia. Tutte le fotografie sono tratte da un lavoro svolto nell’arco degli anni del conflitto, spostandosi sui vari fronti della guerra e toccando non l’aspetto militaristico, ma quello sociale. Siccardi, in quegli anni, scatta immagini dalla Croazia alla Bosnia, dal Kosovo alla Serbia e dedica un intenso capitolo al lungo assedio di Sarajevo. Questa straordinaria testimonianza fotografica include anche l’Albania, “il paese delle Aquile”, prima del grande esodo di Bari del 1991 e chiuso per quarant’anni da un regime nel cuore dell’Europa, per giungere alla rivolta dei Comitati Spontanei Rivoluzionari nel 1997 con la caduta delle società finanziarie albanesi e il “caos” tra la popolazione e una guerriglia di bande rivali all’interno dello stesso territorio. La Romania, con la pesante eredità lasciata dal “conducator” Ceausescu, si propone invece con i suoi tremila ragazzi di strada che vivono nelle fogne di Bucarest, sniffando colla. In primo piano anche gli orfanotrofi e gli ospedali dove sono ricoverati i bambini sieropositivi, usati al tempo del dittatore come cavie umane dalle case farmaceutiche straniere per la sperimentazione medica. Le storie raccontate in questo capitolo sono il vissuto personale dell’autore con i ragazzi di strada, vivendo sotto terra nei cunicoli a Bucarest per ottenere la loro fiducia ed essere accettato nei loro clan. Così come il racconto all’interno dell’ospedale “Babes” di Bucarest e nella Casa Famiglia di Mino D’Amato dove vivono i bambini colpiti da HIV. C’è poi la Moldavia, piccola parentesi nel cuore della Romania, attraversata dal Danubio che solo in terra balcanica ritorna con il nome al maschile “Die Donau”; una regione considerata, dopo il crollo del socialismo, la nuova frontiera occidentale, ma attualmente “l’est più ad est” che si possa immaginare di quelle terre. Lo stesso si può dire per la Bulgaria, dove le immagini narrano la lenta trasformazione del Paese che dal socialismo passa alla privatizzazione delle piccole e medie industrie tra mille contraddizioni. Un viaggio che, nella quarta ed ultima sezione, comprende la Macedonia, triangolo di terra conteso tra Albania e Grecia: qui nel ’99 scoppiarono alcuni tumulti da parte dalla minoranza kosovara albanese contro il governo centrale per l’indipendenza di alcune parti del territorio. E qui, l’esistenza dell’ultimo capo spirituale del sufismo, consente d’imprimere una boccata di spiritualità alla complessità del lavoro fotografico che incontra poi la Grecia a Salonicco, dove si mescolano le popolazioni di diverse etnie migranti, considerata la porta tra occidente ed oriente, sul bordo di un confine inesistente. L’ultima immagine del percorso fotografico (riassunto nella sua totalità dal video che accompagna l’esposizione) ci porta in riva al mare, a quell’Adriatico che, simbolicamente, si propone come linea virtuale che corre in uno spazio obliquo infinito, a volte irraggiungibile per i clandestini che affrontano un viaggio per la fuga. E ’“il mare dell’intimità”, come lo definisce Predrag Matvejevic, uno dei più grandi intellettuali europei dei Balcani: lo stesso specchio d’acqua su cui s’affacciano genti diverse per genere e provenienza, le cui storie sono inesorabilmente destinate ad intrecciarsi, come ci suggerisce Paolo Siccardi che, con le sue immagini, ci regala forti emozioni e un potente richiamo alla realtà della storia. 

Mauro Laus Presidente del Consiglio regionale del Piemonte 
Nino Boeti Vice Presidente del Consiglio regionale del Piemonte, con delega al Comitato Resistenza e Costituzione 

L’Associazione VATRA ARBȄRESHE ha ritenuto interessanti gli argomenti trattati, e quindi ha fortemente voluto ripetere la mostra a Chieri, dove vivono, oramai da anni e completamente integrati, cittadini che provengono da quei luoghi (albanesi, rumeni, kossovari, bosniaci), affinché si prenda visione e coscienza delle brutture delle guerre, attraverso la diffusione di immagini che, pur così drammatiche, con un impatto emotivo molto forte, offrono spunti di riflessione, per un mondo diverso, migliore di questo che stiamo vivendo, dove purtroppo le guerre continuano a perversare: Libia, Siria, Iraq, Afganistan, Ucraina, Crimea, Palestina, Israele, con la speranza che attraverso una cooperazione internazionale, con la buona volontà di tutti gli stati, potenti e meno potenti, ricchi e poveri, si possa raggiungere una pace mondiale, per il bene di tutta l’umanità. 

Antonio Gioseffi Vice-Presidente Associazione Vatra Arbëreshe - Onlus

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