Monticchio e il Museo di Storia Naturale

Intervista col prof. Renato Spicciarelli, promotore e direttore del Museo.
di Angela Traficante

Il Monte Vulture, con i laghi di Monticchio, è un patrimonio naturale inestimabile che custodisce una biodiversità elevatissima in un limitato territorio.
Abbiamo incontrato il prof. Renato Spicciarelli, entomologo naturalista, docente universitario, autore d’interessanti pubblicazioni e Direttore del Museo di Storia Naturale, nella Badia di San Michele.


Non si è consapevoli delle particolari caratteristiche del Vulture?
E’ un territorio straordinario. Il massiccio del Vulture è stato riconosciuto di notevole interesse geologico e geomorfologico per la sua conservazione ed è stato inserito dall’ISPRA nell’Inventario Nazionale dei Geositi. Le riserve naturali (Regionale “Lago Piccolo” e Statale “Grotticelle”), i siti europei (Zona Speciale di Conservazione “Grotticelle” e Zona a Protezione Speciale “Monte Vulture”) e l’IBA (Important Bird Area “Fiumara di Atella”), sono riconoscimenti conferiti negli ultimi 40 anni.



Qual è il suo stato di salute?
Non posso generalizzare. Esistono situazioni particolari e complesse e bisogna guardare ai singoli casi. Ad esempio, il castagno, dopo un periodo particolare, sta bene nonostante il temibile cinipide galligeno. Abbiamo introdotto insetti in grado di controllare quello dannoso e la pianta comincia a riprendersi, ma bisogna aspettare qualche anno.
L’inquinamento ha compromesso l’ecosistema?
Nelle ere precedenti ci sono stati inquinamenti di origine naturale. Il Vulture, quando eruttava, produceva un inquinamento ed esplodevano lapilli. Quindi l’inquinamento non è qualcosa legato solo all’uomo ma anche alla natura e a tante altre specie vegetali. Certo, è un patrimonio da difendere con una gestione efficace, organica e lungimirante, come quella che potrebbe realizzarsi con l’istituzione di un Parco naturale o di una riserva della biosfera, patrimonio dell’umanità.
I mutamenti climatici hanno compromesso le specie di insetti?
No. E’ un sistema complesso che resiste bene alle avversità e ai fattori climatici.
Ci sono specie, pensate alle farfalle, tipiche delle Alpi e specie di luoghi caldi perché ci sono delle “nicchie riparo” particolari. Qui non c’è un microclima unico ma diversi. Così avviene per gli habitat.
Le piante attraggono l’animale e non viceversa, nei grandi numeri degli ecosistemi. Quando si stabilisce una faggeta, ad esempio, saranno gli insetti tipici di quella pianta ad avvicinarsi.
Pensate alla nota Bramea. Ha bisogno del frassino.
E ‘importante rispettare, tutelare per non distruggere gli habitat.
E’ una particolarità del Vulture?
Sì. C’è il fenomeno dell’inversione delle fasce fitoclimatiche, diffuso anche in altre aree montane ma che alla latitudine del Vulture assume specifiche peculiarità. I faggi, le querce, gli abeti, i castagni, non ricoprono le pendici secondo la successione altimetrica tipica, ma sembrano mescolarsi senza alcun ordine.
Ci sono state delle diminuzioni o estinzioni di specie?
Estinzioni no. Ci sono insetti che sono indicatori dello stato ambientale, altri appaiono per anni, poi scompaiono per poi ricomparire a distanza di tempo.


Quindi per definire “un fenomeno” occorrono anni?
Sì. Se in una stagione si notano meno esemplari di specie diverse non si può parlare di un “fenomeno”.
Ci sono insetti che rinunciano a compiere il loro ciclo e aspettano l’anno successivo. Nel terreno s’impupano e non escono. Sono processi naturali.
Ci sono dei fenomeni definiti gravi e vanno monitorati perché ci potrebbero essere delle estinzioni.
Da quando lei è qui, circa quindici anni, cosa è cambiato?
C’è stata un’esplosione di alcune specie legate a certe condizioni realizzate dall’uomo. E’ stata introdotta, ad esempio, una specie diversa di cinghiale. E’ più prolifico e aggressivo.
Può produrre danni all’uomo e alle specie, invade, occupa il territorio e distrugge le nicchie.
Ho assistito ad un miglioramento della situazione, ho notato specie che fino a qualche tempo fa non c’erano e che non sono state introdotte, come la lontra o il lupo.
In questo francobollo di terra c’è una biodiversità elevatissima.
Solo tra i laghi e la vetta abbiamo individuato più di 1200 specie diverse di coleotteri e centinaia di specie di farfalle. Ci sono dieci habitat diversi riconosciuti dall’Unione Europea.
E’ uno dei bacini idrominerari più importanti d’Italia e l’acqua, con la sua capacità di permeare gli strati minerali e rendersi varia, estraendo dalle rocce il sapore e l’eccitazione, condiziona ogni habitat, sia in forma liquida sia allo stato d’inebriante vapore.
I laghi hanno caratteristiche e habitat acquatici diversi e altre specie fanno da contorno ad essi e arricchiscono la vegetazione.
Gli habitat cambiano in pochi metri e si “incastonano” tra loro in una sorta di gradualità.
L’incuria e la mancanza di una costante manutenzione compromettono tutto questo?
Gli interventi ci vogliono e vanno ben orientati. Ad esempio, tagliare l’erba indistintamente è un dramma perché bisogna lasciare solo lo spazio necessario per il passaggio perché le piante erbacee sono necessarie per le farfalle, per gli insetti.
E gli alberi inclinati?
Avviene, spesso, dopo violente condizioni atmosferiche ma è pur vero che il bosco si rinnova. Arriva più luce e germinano i semi. Ma occorre monitorare costantemente il territorio per garantire la sicurezza.
Che cosa pensa dell’Enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco?
E’ meravigliosa! Francesco ci ha indicato la strada e dobbiamo seguirla.
Ma l’uomo continua a non capire che deve essere rispettoso custode del creato.
Lei è un religioso uomo di scienza. Come vive il binomio scienza e fede?
Le due cose non sono in antitesi.
La scienza dà delle risposte laddove si applica ma ci sono tanti ambiti in cui non è stata applicata per mancanza di tempo, di fondi o di uomini.
Credo in una fede che è il cambiamento che avviene dentro di noi.
Il Vulture è un luogo fonte d’intensa spiritualità, un altare universale della natura.

E l’Enciclica è una indicazione per le prossime generazioni.

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