L’ARTISTA FRANCO ZACCAGNINO E LA SUA SANT’ILARIO



Le scoperte di un archeologo improvvisato ma appassionato ricercatore 
di Leo Vitale 

Un ricercatore accanito, senza una preparazione scientifica adeguata e ancor più senza l’aiuto, benché richiesto, degli enti preposti, animato dal desiderio di scoprire la realtà e le origini del suo Borgo e interpretare il senso del racconto favoloso degli anziani su di esso: questi è Franco Zaccagnino, che vive ed opera a Sant’Ilario, una frazione di Atella, dove ha allestito un interessante museo dell’arte Arundiana con produzioni personali fatte con canne.
La scoperta delle origini e la spiegazione del toponimo del borgo sono racchiuse nell’agile sua pubblicazione “Sant’Ilario. Storia di una Castello ritrovato”, che reca come sottotitolo “Trenta anni di ricerca inseguendo solo una leggenda”. Dalle prime pagine appare subito che quanto si tramanda di Sant’Ilario non è un mito, una favola, che si accetta e se ne fa memoria, ma elemento che nasconde una realtà da scoprire. Le leggende nascondono molte verità ed è possibile dare loro un fondamento. Egli, forte di questo convincimento, si mette a raccogliere notizie e informazioni, scandagliare il luogo, osservare ogni particolare per dare un senso a quanto la leggenda suggeriva. Perché il borgo si chiama Sant’Ilario? Perché gli anziani parlano di un altro borgo, più lontano di quello attuale, situato nella zona detta dei “Castelli di Sant’Ilario”? Attraverso un’indagine discontinua che va avanti a periodi, egli si mette a perlustrare tutto il territorio per cercare risposte certe e prove tangibili di quanto i vecchi raccontavano. Il rinvenimento, grazie anche all’aiuto di due pastori, di tracce della cinta muraria di un antico castello lunga 400 metri, di una conchiglia di murice e di una fuserola, risalente, a detta degli esperti del Museo di Venosa, al V-IV secolo a.C., la lettura di un testo di Giustino Fortunato “I Casali della Valle di Vitalba” danno forza ed impulso alla sua voglia di conoscere. Egli viene ad apprendere che il “Casale delle Caldane”, ubicato alla sinistra del torrente Arvivo, si era trasferito verso il 1200 più giù sulla sponda destra dello stesso torrente, assumendo il nome di Sant’Ilario, che oggi è nel comune di Atella. Poteva essere questo il “Sant’Ilario Vecchio”, di cui parlano gli anziani? Dal ritrovamento di pietre particolari allineate viene fuori una muratura di fabbrica della larghezza di circa un metro, che con una sagoma semicircolare girava intorno ad un fossato per terminare ai due lati con due murature dritte. L’abbondante presenza di selci, una cartina topografica del 1700 recante la scritta “Sant’Ilario”, i ruderi di cinque mulini ad acqua, cocci di ceramica medioevale portano Zaccagnino ad individuare il borgo antico, il Sant’Ilario Vecchio succeduto al Villaggio delle Caldane. Egli si convince che il borgo attuale è di inizio 1800, fondato da Aviglianesi; quello antico era stato assorbito e diventato di proprietà nel 1300 dei Durazzo, signori di Atella. Il suo fervore aumenta per scoprire la realtà storica del suo Borgo, la cui geografia viene analizzata nei particolari. Durante i lavori di restauro all’interno della chiesa vengono alla luce delle aperture nascoste sotto l’intonaco e vi affiorano due archi a sesto acuto, una graffa che univa la parete destra ad un locale confinante (forse la sacrestia). Sulla muratura esterna di una casa si scorgono delle epigrafi (C, ct), che attesterebbero la presenza di una centuria e di un castrum romano. Nella parte più alta, altre case presentano dei muri a scarpa con portali, mentre alle estremità del borgo le case richiamano le torri che controllavano l’accesso a quel luogo. A Zaccagnino tutto era chiaro: Sant’Ilario era stata una fortificazione di stampo medievale, inglobata e nascosta dalle case costruite dagli aviglianesi agli inizi dell’Ottocento. Per lui l’antica Sant’Ilario era una struttura militare, un castrum, ospitante una centuria che controllava il passaggio di merci e persone sul vicino tratturo regio che univa Venosa a Potenza, poi roccaforte dei Longobardi ai quali si dovettero i tipici archi ad ogiva rinvenuti nelle murature del Borgo. Questo era uno dei “Castelli di Sant’Ilario” e formava insieme con alcune torri di avvistamento un sistema difensivo che proteggeva tutto intorno l’altopiano e ne controllava gli accessi. Scoperta l’identità del Borgo, svelato il significato dei Castelli, identificato chi lo aveva abitato, rimaneva da accertare il nome. Non fu difficile scoprirlo. Non era vero che fosse venuto in questo territorio il santo di Poitiers, vissuto nel IV secolo d. C.; il nome era dovuto alla presenza dei Templari, per i quali Sant’Ilario era uno dei santi più venerati e al cui culto avevano dedicato molte chiese e Mansioni (in dialetto Masone), termine che significava “casa fortificata”. Sulla carta topografica del 1750 era riportato “Castello della Masona”, ubicato sulla sponda sinistra del torrente Arvivo, proprio di fronte allo scomparso castello di Sant’Ilario. All’interno delle Mansioni una delle attività primarie era legata ai mulini ad acqua e ciò spiega la presenza dei ruderi di cinque mulini sul torrente. Ad avvalorare la loro presenza in questo territorio è una croce di metallo ricrociata, simbolo dei Templari, che sormonta una piccola cappella sulla sommità del Borgo. Qui termina la narrazione di Zaccagnino, il cui racconto incuriosisce il lettore e si fa leggere agevolmente per le espressioni semplici, proprie di chi sente passione e attaccamento al proprio Borgo. Di questo non ha la presunzione di aver svelato tutti i misteri né di aver fatto il lavoro dello storico. Alcune affermazioni vanno verificate e non è da trascurare la ricostruzione dell’identità della comunità, della vita della sua gente con gli eventi sociali, le usanze, le ritualità, i valori che sono stati trasmessi. Zaccagnino ha però avuto il coraggio di fare ricerca, andando dietro al suo spirito di osservazione e al suo intuito, dimostrando che si può supplire alla mancanza di qualifiche specifiche con il solo desiderio di conoscere, di appagare occasionali curiosità. Spetta ad altri emularlo per fare memoria e dare notizie del passato di quella terra.

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