La Basilicata è terra complessa, avvincente e contraddittoria, ed è attraversata da una storia
plurimillenaria che merita di essere divulgata. Testimonianze delle ere più arcaiche e documenti di
periodi meno lontani sono spesso sconosciuti e giacciono inesplorati in biblioteche e raccolte
pubbliche e private. È divenuto per me impegno costante dedicare tempo e interesse a ricercare e,
per quanto possibile, a rendere pubblico e accessibile il gran numero di materiali, frutto delle
frequenti ricerche di archivio. Durante queste continue e spontanee incursioni ho sempre prestato
particolare attenzione alle vicende del Vulture. L’incanto paesaggistico e la serenità dei luoghi, uniti
all’accoglienza e affabilità degli abitanti, mi hanno sempre affascinato, considerandolo un tributo di
riconoscenza per il territorio. Proprio al massiccio montuoso che denomina l’area circostante è
dedicato questo scritto, relativo a una singolare coincidenza, per via della data dell’evento
descritto: l’11 settembre 1901, esattamente un secolo prima dell’attentato alle Torri Gemelle di New
York.
Un magniloquente reportage , esteso dal Canonico Francesco Chiaromonte, descrive la cerimonia e
l’atmosfera per la erezione di una Croce sul monte Vulture, nel primo anno del nascente nuovo
secolo. Fu probabilmente un rito propiziatorio per celebrare il passaggio dall’Ottocento al
Novecento con un manufatto di alta ingegneria e di rilevante valore artistico, ideato ed eseguito nel
territorio che l’avrebbe accolto. Per l’intera operazione fu anche aperta una sottoscrizione popolare
(un minimo di offerta in 10 centesimi ed un massimo di dieci lire di quei tempi), per consentire
anche ai più poveri di poter contribuire alla costruzione di una Croce così imponente, da oramai
decenni non più liberamente visitabile, in quanto quel sito è divenuto territorio militare.
Un messaggio di pace e fraternità proveniente da un’area, importante crocevia di merci e persone,
tra le antiche e storiche regioni della Apulia, della Lucania, della Daunia, dell’Irpinia e del Sannio.
Da “ La Scintilla ”
Giornale cattolico della Lucania - Organo ufficiale per le Diocesi di Acerenza, Matera, Marsico,
Potenza e Venosa
Matera 11 Settembre 1901. Corrispondenza regionale
La croce sul Vulture
Il Vulture, il gigante dei monti Lucani, che erge maestoso il suo capo a m. 1330 sul livello del mare,
e, poco lungi dalle pianure della Puglia “extra limen Apuliae”, siede a cavaliere tra la Basilicata e
l’Irpinia, mercoledì, 28 dello scorso mese di agosto, offrì alle vaste regioni, che d’ogni lato lo
prospettano, uno spettacolo tenero, commovente, sublime.
L’Ecc.mo Mons. Giuseppe Camassa, che con tanto zelo ed abnegazione regge da un ventennio
queste unite Diocesi di Melfi e Rapolla, sin dal tramonto dello scorso secolo avea concepito, e più
tardi annunziato, con Lettera Pastorale, ai suoi diocesani, il disegno di erigere lassù una grande
Croce Monumentale in omaggio a Cristo Redentore, affinché anche ai popoli di questa bella parte
delle province meridionali, a cui nessuno dei monumenti innalzati su vari monti d’Italia è visibile,
stesse sempre innanzi agli occhi il segno glorioso di nostra redenzione, e ne rammentasse i frutti
preziosi.
Ora il progetto era divenuto una realtà. Una Croce, lavorata dalla Ditta De Luca di Napoli, tutta in
lamina di ferro, con una sezione rettangolare di m. 0,60 × 0,40, slanciata per m. 10 fuori di un
basamento di pietra vulcanica, alto m. 7,15, mercé l’opera solerte del bravo ingegnere Donato di
Muro, da Rionero, che ne aveva tracciato il disegno e diretti i lavori, era già al suo posto, e solo ne
attendeva la solenne inaugurazione.
Ed ecco che il prelodato Mons. Vescovo, stabilita, con bella e concettosa Notificazione, la sacra
cerimonia pel mattino del giorno 28 agosto, ed esortati i diocesani e gli altri abitanti della regione
del Vulture ad accorrervi numerosi. Egli stesso, accompagnato dall’egregio sindaco della Città,
Sig. Agostino Avv. Araneo, e da altri membri della Giunta Municipale, nonché da buon numero di
Sacerdoti, Canonici e Dignità del Capitolo, alle 3:00 a.m. imprende a cavallo la ripida salita,
rischiarata per breve tempo dall’argentea luce della luna già prossima al tramonto.
Guadagnate le falde inferiori del monte colossale, i primi albori del giorno chiusero agli sguardi
una scena per quanto commovente, altrettanto pittoresca. Folte schiere di gente di ambo i sessi, di
ogni età, di ogni condizione, quali a piedi, quali a cavallo, tutti lieti e festanti, sbucavano di qua e
di là dai vari viottoli, che, secondo la posizione dei paesi sottostanti, mettono capo a quelle ardue
balze; ed ora mostrandosi, ora scomparendo per quei sentieri serpeggianti tra ombrosi faggi ed alti
castagni, affaticavansi a raggiungere la vetta sublime, meta ultima dei comuni desideri; la quale,
circa alle 6:00, era già gremita di popolo, che non contava meno di 6000 persone, con un 30
Sacerdoti, taluni accorsi dalla limitrofa Diocesi di Venosa.
Forti scoppi di razzi lanciati in aria annunziavano ai presenti ed ai lontani l’arrivo dell’amato
Pastore, il quale tra le continue acclamazioni della folla, va a riposarsi alquanto nella baracca di
legno, eretta pel ricovero dei lavoratori.
In questo intervallo gli sguardi di tutti sono intenti a contemplare un fenomeno, non privo, in quella
circostanza, di simbolico ed istruttivo significato. Gruppi di folta nebbia, spinti con veemenza da
vento occidentale, a guisa di schiere nemiche bucate dai monti Irpini, sfiorano a brevi tratti la cima
del Volture quasi per avventarsi contro la Croce, e nasconderla agli occhi del popolo. Ma ecco
dall’opposto oriente levarsi lento e maestoso l’astro del giorno, che a poco a poco dissipa quelle
nubi importune, e fa spiccare nell’immenso panorama il Santo Vessillo della Redenzione, indorato
dai sui raggi matutini. Ecco un simbolo espressivo dei continui sforzi delle potestà delle tenebre,
per eclissare agli occhi degli uomini il sublime mistero della Croce, e dei continui trionfi del gran
sole di giustizia, Cristo Redentore, che disperde, con la luce smagliante della sua dottrina, le nubi
dell’errore ed a conforto dei popoli redenti conferma, che non mai le tenebre di abisso giungeranno
ad offuscare la Croce del Calvario.
Frattanto l’Ill.mo Mons. Vescovo, indossati i pontificali paramenti, circondato dal Clero e da fitta
calca di gente, in altarino portatile retto a piè del monumento, benedice solennemente la Croce, e
cantatosi a coro l’inno “Vexilla Regis prodeunt” celebra il Divino Sacrifizio; quindi pronunzia un
breve, ma eloquente discorso di circostanza, ascoltato dagli astanti con religioso silenzio, ed
impartita la pastorale benedizione, pone termine alla sacra cerimonia con l’Inno Ambrosiano,
cantato da Clero e popolo.
Rientrato nella baracca invita i rappresentanti dei Municipi della Diocesi, ivi presenti, nonché i più
notabili del Clero e della borghesia dei vari paesi a firmare, con lui un analogo verbale, il quale,
insieme con gli elenchi degli operatori, che avevano, per qualche parte almeno, concorso alle
ingenti spese del monumento, viene suggellato in un’urna di cristallo da fabbricarsi nella base, a
perenne memoria di sì notabile avvenimento.
La simpatica festa era compiuta, senza ombra di disordine, grazie alla solerzia dei bravi
carabinieri, e dell’egregio Vice Delegato di Melfi, quella buona gente, con animo soddisfatto e
lieto, e benedicendo al zelante Pastore, che non cura disagi e sacrifizi pel bene del suo gregge, si
sparse a gruppi in quegli ombrosi macchioni per prendersi qualche ristoro, e molti discesero pel
versante occidentale al Santuario di Monticchio, sacro all’Arcangelo S. Michele, il quale sarà,
d’ora innanzi, la vigile sentinella della Croce del Vulture.
Nelle ore della sera il sacro monumento appare illuminato a luce acetilene, mentre intorno si
lanciavano in alto dei razzi a vagli e svariati colori. Sembrava che il Vulcano da tanti secoli spento,
e che ora dalle indurite sue lave avea fornito la base del monumento al Re Immortale dei Secoli, si
riaccendesse per breve ora, non per seminare il terrore nel popolo circostante, ma per mostrargli,
al bagliore delle sue pianure, il segno glorioso della riconciliazione e della pace.
Eh sì, che da oggi innanzi il contadino, l’operaio, l’artigiano, il borghese delle Province di
Potenza, di Avellino, di Foggia e di Bari, e finanche il navigante di quel lembo dell’Adriatico mare,
che bagna Barletta e Trani, nelle privazioni, nei penosi lavori, nelle tempeste e nelle amarezze della
vita, come nei bisogni dello spirito, sollevando supplichevole lo sguardo alla Croce del Vulture,
sentirà rinascere nel suo cuore il conforto, la rassegnazione, la pace e riaccendersi la fede, la
speranza, l’amore per l’Uomo- Dio, che tutto patì per la salute del mondo, ripetendo col Salmista:
“ Lavavi oculos meos in montem, unde veniet auxilium mihi “.
Scenda adunque, scenda questa fede santa, questa speranza consolatrice, questo amore delizioso
nel cuore degli uomini, ad estinguere gli istinti malsani e sovversivi, che una setta infernale si
sforza di alimentare negli animi della plebe, a danno della Religione, e della civile società; e si
comprenda una buona volta che i popoli non possono aver pace, sicurezza e libertà, che all’ombra
della Croce di Gesù
Cristo Redentore.
Rapolla, 1 Settembre 1901.
Franc. Can. Teol. Chiaromonte
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