Una riflessione dallo scrittore Michele Libutti: L’importante è partecipare


L’arcifamoso barone De Coubertin, come tutti ricordano, in una occasione affermò che l’importante non è vincere (si riferiva evidentemente a qualche competizione sportiva), ma partecipare. Da allora ci capita spesso di vedere competizioni di ogni tipo e non solamente di carattere sportivo dove c’è sempre qualcuno che perde ma che non sempre (quasi mai, praticamente!) mostra di essersi accontentato di partecipare. Mette, insomma, in pratica, un’altra massima inventata non so da chi: “fa buon viso e cattivo gioco!” Tutti sembrano felici, ma in realtà... Mi sono ricordato delle due massime appena enunciate, proprio in questi giorni in cui siamo obbligati a fermarci il più possibile in casa, dove accadono fatti un po’ diversi da quelli che si raccontano e che esprimono in modo chiaro e incontrovertibile la “saggezza(?)” degli italiani, la loro unità almeno spirituale, la solidarietà espressa a chi si impegna allo spasimo, fino a mettere in gioco la propria vita, per tirarci fuori dai guai e che riscuote naturalmente il nostro plauso e la nostra ammirazione, oltre che il nostro corale ringraziamento. Allora si inizia dalle famiglie: tutte “recuperate” e pronte a scambiarsi quelle affettuosità che in alcuni casi si erano perse per strada; tutti si amano anche se, per la verità più di qualche marito con la relativa moglie dichiarano di cominciare a non sopportare questa convivenza forzata. Su Facebook mi è sembrato di aver letto che in più di qualche occasione marito e moglie (o compagna!) se le sono date di santa ragione e spesso si è persa la calma che regnava sovrana nei primissimi giorni del contagio. Anche i più ragionevoli e tranquilli hanno dovuto “lavorare”(e continuano oggi a farlo) per accettare questo periodo non foss’altro che perché prima o poi passerà. E intanto chi legge i giornali sorride: si è ritrovata la famiglia! Che bello! Che bello! Ha fatto furore soprattutto la notizia che, anche secondo il mio punto di vista, la distanza di un metro tra le persone dev’essere uguale per tutti: quando si va a dormire quindi bisogna calcolare la giusta distanza, anche se qualche distratto, come me, rischia di cadere dal letto! Poi c’è la storia del computer. Pensando all’enorme quantità di tempo cha abbiamo a disposizione, possiamo scrivere quello che vogliano, senza limiti e con grande...concentrazione (??) anche se, tra un rigo e l’altro, corriamo davanti al televisore per dare legittimamente un’occhiata alle ultime proiezioni “di guerra”; ma non ci tiriamo indietro se, nell’attesa, proiettano un film magari con qualche bella storia d’amore. D’altronde dobbiamo pure distrarci in qualche modo anche se la distrazione si protrae e sull’altro canale hanno già finito di parlare di bollettini; e, per non essere cattivi dobbiamo capire che in questo caso è il nostro inconscio che ci viene in soccorso per non farci ascoltare notizie certamente non buone. Così non tutti riescono a concentrarsi come dovrebbero, ma tutti sono giustificati. Come mi è capitato ieri quando mi è giunta una telefonata da una amica insegnante che non riusciva a collegarsi con...le colleghe che la cercavano disperatamente poiché era l’unica che mancava all’appello. Le varie televisioni trasmettono tutte dei programmi supersonici e anche uno come me spesso temporeggia davanti al televisore, di cui non si può fare a meno in questo periodo, tranne in caso di rottura dell’antenna (com’è accaduto nel mio condominio); abbiamo dovuto regolarci tutti allo stesso modo e cioè abbiamo aumentato i pasti da due a tre e gli effetti cominciano a vedersi: ma subito siamo corsi ai ripari: abbiamo dovuto procurarci un tapis roulant e cerchiamo di perdere qualche etto; la prova dello specchio però è sempre negativa per noi che non possiamo pretendere di perdere dei chili in un tempo breve. E qualcuno già comincia a minacciare chi ha deciso questa sosta forzata che farà aumentare la pressione arteriosa, il diabete, l’obesità e “incoraggerà” la depressione a prendere un posto fisso in tutte le famiglie... felici come le nostre!​ Poi ci sono i libri: tutti interessanti! “Meno male che esistono i libri” mi ha mandato a dire un’amica che abita nel milanese. Anche se non sa spiegare perché i librai intervistati ci hanno confuso le idee: alcuni hanno ammesso che le vendite sono aumentate del 30%, altri hanno lamentato esattamente il contrario anche perché (udite, udite!) i prezzi dei libri sarebbero diminuiti. Mi sia permesso di tornare un attimo alla televisione. In un programma in cui si occupavano degli “arresti domiciliari”, un giorno è comparsa una bella famiglia composta da ben 13 persone (i genitori e 11 figli!) di cui 4 figli erano assenti; per fortuna, altrimenti la telecamera non li avrebbe inquadrati tutti. L’intervista procedeva spedita e dallo studio televisivo, solo dopo una diecina di minuti, è partita la fatidica domanda, quella che avrebbe dovuto essere la prima, almeno a giudicare dalle allusioni della conduttrice. Che è sbottata: chiedo scusa -ha detto- ma voi non ce l’avete la televisione? La risposta è stata deludente: “in verità ne abbiamo più di una, ma tutta questa tribù di figli li abbiamo desiderati noi, nel tempo!” La conduttrice è rimasta sconcertata e ha fatto un sorriso “decoubertiniano” perché ha concluso che si era imbattuta in persone che non solo avevano partecipato ma avevano anche vinto. D’altronde chi ha detto che le epidemie dovrebbero favorire le procreazione di tanti figli: quanto dovrebbero, insomma, durare certe epidemie? E le antenne, le antenne, dovrebbero essere sempre rotte? 

Michele Libutti

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