📰 Schermi Riflessi di Armando Lostaglio. Addio al regista di Twin peakse e Blue velvet


È morto all’età di 78 anni David Lynch, il regista di opere clamorose ed ossessive come Twin Peaks, Mulholland Drive, Blue Velvet e Eraserhead. 
Era nato nel Montana (Usa) il 20 gennaio 1946, ma al contrario delle sue origini, non ha mai cavalcato. 
Almeno nei suoi capolavori. 
E’ sempre stato suggestionato dal mistero, dall’inconscio, dallo stupore. Regista, sceneggiatore, attore, musicista, produttore e pers ino pittore, capace di mettere in simbiosi enigma, seduzione, crime e arti pittoriche. 
Dall’esordio di Eraserhead del 1977 fino all’ultimo Inland Empire del 2006 - quando vinse il Leone d’oro alla carriera a Venezia - i suoi film hanno saputo amalgamare noir e commedia, anticipando nella loro visione onirica la struttura virtuale di oggi. 
Fu antesignano delle serie televisive d’autore con Twin Peaks, andata in onda tra il 1990 e il 1991 che aveva ottenuto un enorme successo. Lynch aveva ripreso la serie nel 2017 per una terza stagione pure molto apprezzata. 
Federico Fellini era ammirato da questo visionario, un po’ simile a lui che era di altra epoca. 
Quando Lynch andò a trovarlo, poco prima di morire, Fellini confidò: “Questo è un bravo ragazzo.” Sono tutti da qualche altra Parte adesso, in quell’Altrove che ci tocca immaginare. 
Un cuore selvaggio, fra sciamani che cercano di interpretare il mistero. 
Elephant Man, un concentrato di solidarietà umana oltre ogni apparenza. 
Stephen Spielberg, nel suo spettacolare The Fabelmans, gli fece interpretare il ruolo di John Ford, genialata fra genii. 
Ci capitò anni fa di incontrare alla Mostra di Venezia sua figlia Jennifer, con la sua opera prima Boxing Helena, era il 1993: apprese dal padre la lezione di impressionare, sconvolgere: risultato non proprio eccellente ma coraggioso. 
Inconscio che diventa luogo non comune, in Lynch ogni opera è una sequenza unica, senza una meta precisa, come negli occhi luminosi di Laura Palmer (Sheryl Lee), di quel Fuoco cammina con me. 
Il confine David Lynch lo ha tracciato, oppure resta irrintracciabile nel profondo di uno spettatore smarrito. 
Questo è il suo cinema, sospeso fra il non più e il non ancora, ossia nello spazio fra il cinema e noi. 
L'occhio critico ritaglia inquadrature, si posa su spazi di solito nascosti, svela personaggi pur in secondo piano. 
Scruta, carpisce, intuisce. Mentre l'obiettivo di Lynch investe la scena, l'occhio critico adorna, reinventa se è possibile. 
Un gioco delle parti in scambi di ruolo: ma il Maestro resta tale, il critico ne subisce l'essenza, il fascino forse, le sue paure. 
E il suo sguardo adorna, vivifica il non visto, con parole misurate. 
Rendendolo perenne.

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