Nel degrado l'abitazione
storica della Famiglia di Alfredo Saraceno
di Benedetto Carlucci
Suscitano un'impressione poco
edificante, in via Giustino Fortunato, le cattive condizioni di fatiscenza
della casa di don Alfredo Saraceno. L'immobile, disabitato dagli ultimi decenni
del Novecento, fu - alla morte dei coniugi Alfredo Saraceno e Rosa Bùccico -
lasciata in eredità agli unici due figli di don Alfredo: Michele Rocco
(1923.2006) e Giuseppe (1928-2000).
Mentre il primo figlio ebbe
soltanto tre figlie femmine, il secondo morì senza lasciare prole. Motivo per
il quale la suddetta casa paterna rimase senza inquilino alcuno. Con
l'ulteriore conseguenza che le mura esterne dello storico immobile rimasero, di
fatto, esposte ad ogni tipo di intemperie corrosive. Con conseguenze di
fatiscenza sempre più preoccupanti.
Vedendole, per di più disabitate
per un lungo tempo continuativo, sempre abbandonate, le mura sono ancora oggi,
sede di scritte ed incisioni non sempre "riferibili". Anche le
grondaie, col tempo, sono colpite inesorabilmente dalla ruggine. Con
l'umido che penetra nelle mura perimetrali ed interne.
Eppure, il Palazzo che appartenne,
da prima dell'Unità nazionale ed ai tempi eroici del Brigantaggio, a Giuseppe
Saraceno senior ed a Maria Aquilecchia (ed, alla morte di quest'ultima) a
Giuditta Graziola e che fu illustrato dalle storiche frequentazioni del
fattore di Famiglia e poi brigante Giuseppe Caruso; e, quindi, dello statista
melfitano Francesco Saverio Nitti; e di vari esponenti Fascisti anche nazionali
(e, dopo il ritorno dall'esilio del Nitti nel 1946) di ulteriori frequentazioni
politiche repubblicane, deperisce, si può ben dire, a vista di occhio.
La medesima Casa Saraceno, di cui ci
occupiamo in questa nota storica, a causa del "ritorno al Nitti"
della celebre (e... ballerina politica dei Saraceno), subì un grave
minamento da parte delle truppe del Genio Guastatori tedesco, in ritirata verso
il Nord dopo lo Sbarco degli Alleati in Sicilia ed a Salerno.
Testimoni di tale
rappresaglia tedesca fu il giovane ventenne Michele Rocco (primogenito
di don Alfredo) ed il di lui fattore Pasquale Caruso.
Si racconta che, in quella amara
circostanza, la famiglia Saraceno assistette dalla Casina di don Lorenzo
Saraceno in contrada Gavitelle allo scoppio della Casa urbana di famiglia. Riportandone uno choc da mutismo, durato un certo
tempo.
Oggi - come si faceva notare
all'inizio - di tanti fastigi spesso contrastanti, restano (ancora in piedi, ma
chissà fino a quando?) un pugno di labili memorie. Che a fatica, qualche
ricercatore di Storia patria tenta, con qualche successo, cerca di rimettere insieme.
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