Quando Monticchio era la Località turistica per eccellenza
della Basilicata, probabilmente l’unica, non c’era il Pollino, non c’era
Pietrapertosa e le Dolomiti lucane, non c’era nemmeno Matera e molto altro in
questa regione. Ovvero, si ignorava il valore potenziale che quelle località
potessero esprimere, negli anni Sessanta. Allora Maratea era nota solo ad un
certo turismo elitario grazie a Santa Venere, quella elegante residenza liberty
sospesa sul mare, ma era solo per i milionari dell’epoca, con serate modello
“una rotonda sul mare” di Fred Buongusto e vip (come si direbbe oggi), ma di
quelli veri.
Matera era stata invece “scoperta” da Pasolini, negli anni
’60, per il set del suo capolavoro mistico-popolare “Il Vangelo secondo Matteo”, ma incombeva ancora quel secolare problema di
ordine urbanistico, lungi quindi da possibili valorizzazioni turistiche e
culturali. Nel 1962 il regista Luigi Zampa gira “Gli anni ruggenti” nelle cui
scene finali risalgono proprio dai Sassi, come da un girone dantesco, una
moltitudine di poveri contadini, per incontrare “l’Ispettore” (il film è
ispirato a Gogol’).
La costa jonica lucana era in quegli anni ancora alle prese
con situazioni di bonifica da post-riforma agraria, con paesi in via di ripopolamento
e meno che mai da vocazione turistica: Metaponto, Policoro, Scanzano, Nova
Siri. Il Pantano di Pignola era poco più di un pantano (appunto). Quelle
cittadine storiche come Venosa e Melfi non ricevevano che sporadiche visite di
gite scolastiche. Tutto molto in ombra, sulla via di una emancipazione di la da
venire. Un panorama alquanto conciso, in una regione ricca di verde e di cui
certamente il monte Vulture e la sua “perla” sui due Laghi vulcanici –
Monticchio - rappresentava una rarità: cartoline dell’epoca ne danno
testimonianza. Al punto che alcuni imprenditori illuminati si inventarono e
realizzarono una funivia che conduceva dai Laghi fino alla sommità del monte
Vulture: un viaggio sospeso nel vuoto di una ventina di minuti, ben
cinquant’anni prima dell’odierno “volo dell’angelo”. Uno sguardo lontano, e non
solo geograficamente quanto soprattutto come imprese, mentre siamo solo nei
primi anni Sessanta. Oltre mezzo secolo fa, dunque, Monticchio è stato guardato
dal basso in alto, e la funivia dell’epoca non ne rappresenta solo una
metafora. Oggi ci si ricorda di questo luogo solo per quel “turismo di massa”
(turismo?) e dei residui immondi del dopo-Pasquetta e dopo-Ferragosto.
“Quel che resta del giorno” (mutuando il titolo di un film
d’autore) sono solo gli avanzi (se non le macerie) di decennali incapacità
amministrative quanto imprenditoriali, in una parola di suppellettili di
politiche di sviluppo o presunte tali, a partire dalla Regione: abusivismo
senza controlli preventivi, i lasciapassare superficiali di chi la politica
(spesso mediocre) la faceva solo per l’orticello di casa e di casta. Un luogo,
Monticchio, che sarebbe bastata una soltanto delle sue innumerevoli
potenzialità che altrove (al nord per esempio) avrebbe creato le condizioni di
una ben più visibile consacrazione. Sarà il caso di elencarle? No, non serve a
nulla, non ne vale la pena, lo abbiamo fatto troppe volte in questi anni: chi
vuole se le cerchi sulle enciclopedie o più modernamente sui siti web. E non
lamentiamoci se i mezzi di informazione spesso ignorano Monticchio e i siti
storici del Vulture nei circuiti turistici delle vacanze.
I nomi invece li conosciamo, di coloro che l’hanno devastata
o contribuito alla sua emarginazione, e pure pagati con soldi pubblici, quella classe
politica inetta ed incapace ha tanti volti: ciascuno per la sua parte ha fatto
scempio del mandato di Bene comune che la comunità locale aveva loro
attribuito. I nomi li conosciamo, politicanti o presunti tali da Rionero a
Melfi, da Barile a Venosa e Lavello. Tanti, troppi i nomi che in questi decenni
hanno dilapidato Monticchio, sciupato un patrimonio che non meritavano di
rappresentare. Troppo evoluto quel luogo per essere dato in “pasto” a chi non
ne ignorava le potenzialità, avendo loro orizzonti troppo corti, e la cupidigia
di chi ha solo avidità di potere.
Che peccato!
Armando Lostaglio
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