Turdèi. Maschera popolare rionerese


Il tipico personaggio antropologico era chiamato “Il diavolo del Vulture”.
di Michele Traficante

Turdèi, Turdèi! Arriv’ lu riav’l, scappam guagliù, scappam”! Così gridavano, impauriti, i bambini all’apparire di Turdèi, nel suo tipico e strano  abbigliamento di “maschera”, per modo di dire, Essi cercavano i nascondigli più sicuri, mentre i più piccoli piangendo correvano fra le braccia delle mamme. Scendeva dal monte Vulture con il giaccone  di pelle di lana caprina sporca, le cosce e le gambe coperte di gambali e gambiere di lana carbellotta, il tutto racchiuso da funi, funicelle e spago e al petto appesi campanacci di buoi.



In testa due vistose corna appuntite,  in una mano un forcone e  sotto il braccio dell’altra, poggiato sull’anca un teschio, forse recuperato nel vicino cimitero poiché, fra l’altro egli era aiutante necroforo addetto a scavare le fossa. Incuteva paura Turdéi, quasi  terrore con il suo brontolio animalesco a metà fra lamenti umani , ululati di lupi affamati e striduli tenebrosi di uccelli notturni.
Così conciato Turdèi, cioè  Michelangelo Curto ( 9-2-1858 – 3-2-1944) faceva la sua comparsa, specialmente nel periodo di Carnevale, nella fine dell’Ottocento e nelle prime decadi  del Novecento, percorrendo il lungo e in largo i vari quartieri della città suscitando ilarità e, perché no,  anche applausi, guadagnandosi abbondanti bevute del robusto vino aglianico e qualche grosso  panino con prosciutto  o salciccia. E beveva e beveva Turdèi forse per dimenticare gli stenti  della vita grama che conduceva quotidianamente  con la sua famiglia.


Rappresentava, in un certo qual modo, la maschera del carnevale rionerese che divertiva e metteva allegria. Infatti, benché il suo aspetto incuteva paura ai piccoli, divertiva i grandi dal momento che, in fondo, Turdèi non era cattivo, anzi era bonaccione, di carattere allegro  e metteva buonumore fra la gente che lo accoglieva con simpatia. Non raramente, quando si fermava davanti a qualche abitazione gli si porgeva una fiaschetta di vino che egli tracannava che era un piacere, andando sempre più di giro ballando e saltellando su se stesso  brandendo in aria la sua forca al ritmo dello  scampanellate di quelle assordanti campanelle più adatte  alla vacche durante la transumanza in Puglia. Era uno spasso che creava tanta allegria!
Pare che, secondo quando sostiene l’amico quasi novantenne Michele Di Lucchio, Turdèi usasse bere in un teschio.
Oggi nessuno più ricorda Turdéi e le sue imprese spettacolari. Il  prof. Mauro Corona, nel suo pregevole volume “Il teatro a Rionero. Maschere e Tradizioni. Dall’Unità d’Italia ai giorni nostri”, Appia  Editrice, Venosa 1998, pp.190, tratta, fra altri personaggi caratteristici paesani, anche di queste maschere”  psicologie perfettamente compatibili con l’attivismo senza requie e senza regole dei rioneresi” come scrive il compianto storico Nino Calice nella presentazione del volume.
Si deve alla Pro Loco di Rionero, presieduta dal giovane Crisitian Strazza, la lodevole iniziativa di ripescare la maschera  Turdèi per riproporla alla comunità rionerese e,  soprattutto, alle nuove generazioni. Così, nei giorni scorsi, a conclusione del “Carnevale Rionerese” la Pro Loco ha promosso un interessante incontro presso l’I.I.S. Giustino Fortunato- Liceo Artistico  “Carlo Levi”  per la presentazione della maschera antropologica rionerese Turdèi.
All’appuntamento culturale, coordinato e introdotto  da Cristian Strazza, presenti molti cittadini e numerosi studenti, è intervenuto il prof. Felice Mirizzi,  Docente di Antropologia culturale presso l’Università degli Studi di Basilicata e il prof. Mauro Corona, Storico e ricercatore.
Dopo il saluto della dirigente scolastica Antonella Ruggieri che ha assicurato l’impegno del suo Istituto per la valorizzazione delle tradizioni locali, la prof.ssa Paola D’Antonio, docente dell’Unibas e assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Rionero in Vulture, ha evidenziata la necessità di salvaguardare la tradizione della comunità rionerese , anche da tramandare alle nuove generazioni.
Ha fatto seguito la lunga, dotta ed interessantissima  relazione del prof. Felice Mirizzi su “ Le maschere locali come simboli culturali” riferendo la tendenza  oggi abbastanza diffusa in Basilicata nel recupero delle maschere locali come bisogno di riscoprire nelle tradizioni quel passato che insegna. Anche l’UNESCO ha mostrato interesse a tal riguardo tanto che, con la FECC (FEDERAZIONE EUROPEA DELLE CITTA’ DEL CARNEVALE),  ha promulgato norme per il recupero e  la salvaguardia dei patrimoni immateriali (tradizioni popolari). L’autorevole cattedratico ha richiamato storicamente l’origine cristiana e cattolica del carnevale e la sua giustificazione come periodo di baldoria e di trasgressioni funzionale al successivo tempo di austerità e di penitenza della Quaresima. Insomma è come bisogno dell’uomo di darsi alla pazza gioia, secondo l’adagio latino “ Semel in anno licet insavire” (Una volta all’anno è lecito impazzire) o anche come recitano versi 792-795 del “Bacco in Toscana” di Francesco  Redi “ Vino vino a ciascun bever bisogna, / Se fuggir vuole l’inganno; / E non par mica vergogna / tra i bicchier impazzir sei volte l’anno.”
In conclusione il prof. Mirizzi ha raccomandato di “cercare l’arcaicità per corrispondere ai bisogni della contemporaneità”.
Ha concluso l’incontro il prof. Mauro Corona che ha piacevolmente intrattenuto l’attento pubblico presente su “C’era una volta…Turdèi… Maschera tipica di Rionero”. Egli, da attore consumato (è stato cofondatore e protagonista della nota Compagnia teatrale rionerese  “Gruppo 8”), ha molto efficacemente fatto rivivere il personaggio Turdèi nei suoi aspetti ed atteggiamenti più caratteristici ed  istrionici che tanto facevano divertire e spingere  all’ilarità. Mauro Corona ha tratteggiato con grande maestria la figura di Turdei nelle sue strane grida, nella baldoria, negli sfottò ritmati dal battere della forca sui lastroni vulcanici, “Le basole” della strada, arricchito dal suo cupo brontolio “ Ooohhh…Ahh… Brr…Oooo”. Per l’esclusivo piacere della sua gola sempre asciutta, come diceva lui, qualche generoso spettatore lo accompagnava al caffè di Caf’ lisc (di Emanuele Russillo) prima e a quello di Vito Russo, poco distante, per qualche bevuta che egli non rifiutava mai perché era come una spugna, capace di assorbire litri di liquidi come se nulla fosse. Immaginarsi quando la sera tornava a casa che puzzava di vino da lontano, le scenate della povera seconda moglie Maria, sposata, essendo rimasto vedovo, il 12 giugno 1913, con gli inevitabili rimproveri, improperi e bestemmie. Altro momento di gloria per Turdèi era quando, salito sul carretto dell’amico e compare Giovanni, tutto impettito e altero come un feroce guerriero vichingo, percorreva impassibile le strade del paese fra l’ilarità, gli applausi e gli sfottò della gente.
Insomma Turdèi è stato un personaggio tipico, una maschera, per l’appunto, che ai suoi tempi ha fatto un po’ la storia di Rionero.
Turdèi, alias Michelangelo Curto, finito negli ultimi anni  alla locale  Casa di Riposo, è morto d’infarto davanti al locale cinema teatro Combattenti, forse sognando di poter calcare, almeno per una volta, il palcoscenico.
Ammirevole, quindi, l’intendimento della locale Pro Loco di rivalutare tale “maschera antropologica rionerese ” e farne un motivo di identità paesana. Infatti, Cristian Strazza ha assicurato che per il carnevale dell’anno prossimo Turdèi (redivivo) sfilerà per le strade di Rionero.
Sarà, certo, una scoperta per i rioneresi e un sicuro successo.

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