Tra metà ottocento ed inizio novecento, con l’approssimarsi della
stagione calda, puntualmente si abbatteva il flagello delle malattie epidemiche
ed endemiche, particolarmente esiziali per
l’abitato di Matera.
“[…] La salute umana nell’ultimo
periodo semestrale del decorso anno sarebbe stata ottima nel Circondario di
Matera per la poca copia delle solite febbri malariche se la difterite non
avesse fatto le sue apparizioni fuggevoli in qualche Comune e persistenti in
quello di Matera.
I decessi dei bambini furono in
questo abbastanza numerosi. Il male pare abbia preso stanza in esso perché vi
ha trovato le opportune condizioni topografiche e climatologiche. Così avvenne
pure del colera che penetrato una sola volta nel Comune di Matera vi si fermò
nel 1867 per 4 mesi cagionando 801 morti.
Furono pure le migliori e più
efficaci misure igieniche che riguardarono lo spazzamento giornaliero delle
strade, la bontà e quantità di acqua potabile”.
Nella relazione del semestre seguente, anno 1884, la situazione non era
migliorata:
“[…]la difterite prese notevoli
proporzioni, obbligò a sospendersi la vaccinazione e provocò serii
provvedimenti per parte del Consiglio Sanitario Circondariale”.
La ricorrenza della Festività Patronale diveniva motivo di discussione
sulla sanità pubblica e capro espiatorio per misure igieniche e di prevenzione
mai messe in atto. Di tutto ciò, il Sottoprefetto di Matera, informava il suo
superiore di Potenza, come da corrispondenza del 3 agosto 1888:
“Nel numero 30, 1° Agosto del
Gazzettino di Basilicata, si legge una corrispondenza da Matera nella quale,
sebbene con garbo lojolesco, si attacca me per non aver vietato la festa
tradizionale denominata della Bruna (2 luglio).
Nel mio foglio in data 24 giugno
u.s. n.2865 e 2866 già esposi a V.S. Ill.ma le ragioni che consigliavano la
permissione della festa suddetta, il cui divieto avrebbe prodotto inconvenienti
ben più gravi di quelli che l’autore dell’articolo mostra di lamentare, e che
sono del tutto insussistenti come si rileva dalla statistica dei casi di
vajuolo verificatisi dopo la detta festa, quale statistica si mantiene in
condizioni minime, ed anzi in quasi continua, sebbene lenta, diminuzione, come
risulta dai bollettini giornalieri di tutto il mese di luglio, riassunti
nell’unito rapporto mensile.
Noto inoltre una circostanza a
proposito della parità dei voti che si riscontra nella deliberazione presa dalla
Commissione Municipale di Sanità addì 23 giugno p.p. .
Due dei membri di detta
Commissione che votarono contro la permissione della festa, erano stati da me
prima pregati in via tutt’affatto amichevole, per negare il loro voto
favorevole, poiché, a dir vero, sarebbe stato mio desiderio che la festa non si
fosse fatta per evitare l’aumento della malattia, che per fortuna non si
verificò.
Essi sono il Cav. Prof. Domenico
Ridola e il Dottor Raffaele Bronzini, i quali avrebbero votato a favore senza
la mia preghiera. Detti Signori, occorrendo, non potranno mai negare tale mia
asserzione. Se poi non ho provocato da V.S.Ill.ma il divieto della festa e mi
sono pregiato a concedere il permesso, si è perché l’Autorità Municipale e la
popolazione desideravano e facevano voti perché fosse permessa come in tempo io
ne riferii a V.S. Ill.ma col succitato foglio 24 giugno p.p. e che le mie
considerazioni si fondassero nel vero, lo dimostra il fatto che la S.V. Ill.ma
deve averle trovate giuste e attendibili, senza di me ne avrebbe senza dubbio
ordinato il divieto. Spero quindi che la mia condotta non potrà mai incontrare
il biasimo del superiore Ministero, e che nella peggiore ipotesi, Ella si
degnerà difendere il mio operato.
Con la occasione avverto che il
giorno 5 e 6 corrente ha luogo in questa città la fiera annua di bestiame, la
quale, sebbene abbia il titolo pomposo di fiera, non è in sostanza che un
modesto mercato simili a quelli comunissimi che tutti i giorni hanno luogo in
città ed in paesi dell’Italia centrale e settentrionale. E poiché i casi di
vajuolo si fanno sempre rari, ossia uno o due ed anche nessuno al giorno, come
risulta dagli ultimi bollettini di questo mese, non credo, nemmeno questa
volta, il caso di proporre a V.S. Ill.ma il divieto anche in considerazione che
il concorso della gente è limitatissimo, e che in sostanza tutto si riduce a un
mercato di bestiame e a qualche baracca in legno elevate da alcuni merciaiuoli
nella pubblica via. […]
Il Prefetto, prontamente rispondeva:
La S.V. ha fatto bene nel
porgermi tutti gli schiarimenti contenuti nella sua nota di Gab. del 3 corrente
circa la corrispondenza da Matera al Gazzettino di Basilicata, ma detto ciò non
avrebbe ragione di preoccuparsene oltre. A me non era sfuggita, né doveva
sfuggire la ricorrenza della festa tradizionale della Madonna della Bruna.
Prima che l’epidemia vajolosa fosse cessata, anche se la S.V. Ill.ma non me ne
avesse fatto avvertenza. Non ho creduto di vietare la festa perché ho creduto
anch’io che il rimedio fosse peggiore del male. E per lo stesso motivo non ho
fatto che associarmi alle considerazioni mie intorno alla fiera di Agosto. È
inutile illudersi. Fino a che in questi
paesi la povera gente continua a vivere agglomerata in stamberghe senza luce e
senza aria, o in luride tane scavate nel tufo, senza possibilità di isolamenti
e di serie disinfezioni, fino a che le amministrazioni locali non avranno un
pensiero per la nettezza e per l’igiene pubblica se non nei giorni delle
epidemie, nessun articolo di giornale farà si che la gente del popolo non abbia
maggior danno dallo stare in casa che non dall’andare a prendere sole per le
piazze o in processione o in fiera.
Rimanevano i glaciali rilievi statistici dei decessi, che per le prime
tre settimane di giugno e l’intero mese di luglio del 1888 certificavano ben 58 decessi per vaiolo nel primo periodo e
73 nel secondo, oltre a 3 morti per morbillo, 2 per difterite ed ancora 2 per
febbre tifoidea.
Gianni Maragno
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