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TRACCE di Rocco Brancati: Orazio


8 a. C., 27 novembre. Aveva 57 anni quando morì Quinto Orazio Flacco, quel 27 novembre dell'8 avanti Cristo. Il pittore venosino Giacomo Di Chirico (1844-1883) dipinse il suo concittadino in un ritratto che fu trafugato dal palazzo di città e mai più ritrovato. Orazio nacque l'8 dicembre del 65 a. C, a Venusia, l'odierna Venosa. La città fu edificata su precedenti insediamenti non urbani nel 291 a. C, da Roma per controllare la Daunia e prevenire una possibile conquista della stessa da parte di lucani o sanniti. 

Quando nelle "Satire" Orazio si dichiarava "Lucanus an Apulus anceps" probabilmente non intendeva porre un problema di appartenenza territoriale di Venosa, ai confini tra le due aree, perché lui si considerava solo e semplicemente "romano". Giustino Fortunato scrisse che "Orazio sarebbe scoppiato dal ridere qualora gli avessero chiesto se era lucano o pugliese", specie se ricordiamo che il padre era un ex schiavo liberato. Civis Romanus e basta, anche se Venusia acquisì sempre più una identità apula, al punto che in occasione della discriptio Italiae augustea la città entrò a far parte della regio II (Apulia et Calabria). 



Orazio è ricordato soprattutto per il suo "carpe diem", cogli il giorno o cogli l'attimo anche se la traduzione più giusta sarebbe "vivi il presente". Spesso non si cita il seguito della locuzione latina tratta dalle Odi, "quam minimum credula postero" cioè confidando il meno possibile nel domani. Il "poeta dell'arte di vivere" come è stato visto dai critici voleva semplicemente invitare a godere ogni giorno dei beni offerti dalla vita perché il futuro non è prevedibile (un concetto che sarà ripreso da tanti nel corso dei secoli. Basterebbe ricordare Lorenzo il Magnifico...di doman non c'è certezza). Nel 1992 per le celebrazioni del bimillenario oraziano si parlò molto del "non omnis moriar". Il rettore dell'Ateneo lucano Cosimo Damiano Fonseca pubblicò per i tipi della Congedo di Galatina (Le) il volume "Non omnis moriar. 


La lezione di Orazio a duemila anni dalla comparsa"- Èxegì monumèntum àere perènnius...Ho eretto un monumento più duraturo del bronzo e più alto del regale sito delle piramidi...Non morirò del tutto e anzi molta parte di me eviterà Libitina...Orazio si riferiva alla sua opera poetica, che sarebbe sopravvissuta alla sua morte, una delle più celebri "Odi". Nel medioevo fu commentata come un riconoscimento dell'immortalità dell'anima. Nel "frui paratis" cioè nell'invito a godere di quello che si ha Orazio ancora una volta si soffermava a consigliare di non cercare cose impossibili, non investire forze ed energie eccessive per ottenere ciò che è irraggiungibile. 


L'obiettivo contro il quale Orazio ha lottato con maggiore impegno è costituito senz'altro dal desiderio maniacale di beni materiali, un sentimento che può degenerare fino a trasformarsi in vera e propria ossessione ed allontanare così ogni possibilità di essere realmente felici. Un concetto ripreso da Michel de Montaigne a conclusione dei suoi "Saggi", un prontuario di morale salutifera. In occasione del "Bimillenario" realizzai per la Rai molte interviste (Ettore Paratore, Viktor Pöschl ecc.) scrissi per il quotidiano "Roma" diversi articoli compreso quello su Radio Helsinki il "Nuntii latini" e in occasione della visita del presidente della Repubblica partecipai ad una diretta televisiva di circa un'ora.

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