In Primo Piano 37. puntata.
ENRICA DISTEFANO, classe 1990, originaria di S. Angelo le Fratte (PZ). Insegnante di scuola primaria ma ciclista amatoriale per passione, tesserata con la società ASD 'Pedale Elettrico', una squadra ciclistica amatoriale con sede a Matera. Si è avvicinata e approcciata alla bici da corsa 5 anni fa, nel 2016, all’età di 25 anni, da completa inesperta e 'digiuna' del settore, dato che in passato non ha avuto nessun’altra esperienza sportiva e/o agonistica. Si può dire che il suo pregresso motorio poteva definirsi quello di un sedentario. Non solo, era anche molto pigra. Non si può quindi dire che è partita con una marcia in più, al contrario. Le sue prime pedalate erano vere e proprie “missioni impossibili” perché faticava molto anche per fare pochi km: il suo bagaglio di competenze non vantava alcuna specialità motoria specifica. Tuttavia la bici è sempre stata la sua compagna di giochi nel corso della propria infanzia, sebbene la usasse solo per spostarsi e percorrere tratti della strada nella contrada in cui viveva del suo paese, in compagnia del gruppo di amici e vicini di casa. A farla innamorare del ciclismo su strada è stato il suo attuale compagno, Vito. Lui era già molto allenato, non come lei che stava “partendo da zero”, ma fu allora che decise di fare una sfida con se stessa: quella di provare a cambiare il suo stile di vita passivo e di trasformare il suo corpo così che potesse diventare più atletico, efficiente e performante grazie all’uso della bici da corsa. Non sapeva allora che tutto questo avrebbe avuto un impatto, un effetto e conseguenze enormi anche sulla sua psiche e personalità. Cosa c’entra tutto questo con la bici? C’entra, perché prima che lei iniziasse a far parte della sua vita non sapevo cosa fosse il sacrificio, la motivazione, la perseveranza e la dedizione. Era una persona molto più insicura, inibita e timorosa (forse colpa del bullismo che ha dovuto subire da piccola e che la ha reso una 'vittima'). Credeva così di non essere all’altezza, credeva di essere 'debole', di non avere grinta e di dimostrare agli altri che poteva farcela. Credeva di non essere portata per l’attività fisica e per gli sport aerobici e di resistenza. Ma poi è arrivata la prima bici, un regalo del suo compagno e da quel giorno qualcosa è cambiato. Essa è diventata lo specchio attraverso il quale ha potuto osservarsi, comprendersi, riconoscere le sue debolezze, prenderne atto poiché rifletteva il suo disagio interiore e glielo mostrava attraverso la frustrazione legata agli sforzi e ai fallimenti iniziali. Questo era ciò che provava nelle sue prime esperienze ciclistiche da principiante. Tutto regolare, tutto da copione perché come già detto, la bici non ti regala nulla, anzi...all’inizio ti fa “buttare il sangue”. Tutto ciò è servito per capire che non voleva arrendersi alle sue debolezze ma che voleva andare avanti e perseverare in questo sport anche se duro e impegnativo. Più soffriva e più diceva a se stessa che prima o poi avrebbe vinto lei. Avrebbe affrontato le sue paure, le sue debolezze...e così è stato. Il ciclismo gli ha insegnato che nulla si ottiene senza sforzo, impegno e sacrificio, che non si può ottenere nulla dal nulla o tutto subito. Il ciclismo infatti è uno sport “democratico”, cioè alla portata di tutti perché per iniziare non richiede grandi abilità specifiche (gesto tecnico) ma solo grande forza di volontà, tuttavia, non tutti sono disposti a pagare questo 'costo'. La bici è stata la sua medicina e la sue terapia. Prima di iniziare il ciclismo stava vivendo un periodo di sbandamento che la ha portata a sfiorare la bulimia. La bici però la ha salvato poiché è stata la sua valvola di sfogo, in essa e attraverso di essa ha potuto concentrare le sue energie e dirigerle in modo costruttivo, attraverso gli obiettivi che man mano si poneva e che poi, con il tempo e con sua sorpresa, riusciva a raggiungere. All’inizio gli obiettivi erano: riuscire a stare più ore in sella, affrontare una salita dura senza scendere dalla sella e mettere piede a terra, riuscire a mantenere la ruota di qualcuno. Man mano che riusciva a raggiungere questi (seppur piccoli e insignificanti) obiettivi la sua autostima cresceva, così come il suo senso di autodeterminazione e di auto-affermazione. Questo gli permetteva di spingersi oltre e di porsi sempre nuovi e maggiori obiettivi. Nel frattempo la frustrazione e gli sforzi lasciavano sempre più spazio al divertimento, al senso di libertà provato nel pedalare nella natura, all’aperto, e alla bellezza dei paesaggi che aveva la possibilità di ammirare grazie al proprio mezzo. I suoi primi anni di ciclismo sono stati così contraddistinti da una spiccata tendenza cicloturistica.
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