Qualcuno ha inteso paragonare la comica vicenda romana di tale Tony
Effe (già dal nome...), a suo dire censurato al concerto di capodanno
nella Capitale, con l'ideale trasgressivo anni '70 di Lou Reed e
artisti simili.
Questi straordinari artisti cantavano la decadenza
esistenziale di una parte di quella generazione, descrivendo nelle
canzoni gli effetti di droghe pesanti quale riflesso della disgregazione
urbana e sociale.
Tali espressioni artistiche trasgressive ed
anticonformiste hanno contribuito a formare una opinione collettiva, che
a distanza di decenni ha lasciato un segno anche nelle generazioni
successive, fra musica arte moda e cinema.
Questo cantante del nulla moderno, emulo come molti altri del trap di
periferie americane, inneggia invece all'orgoglio violento di maschi
frustrati dalla perdita di potere sulle donne, pulsioni sessiste spesso
incontrollate, che attengono alla nefasta moda corrente che riempie le
cronache quotidiane.
Certo, non va censurato ma stigmatizzato per quello
che è: emblema di un nichilismo inconsapevole cui non conosce neppure il
valore, tanto per seguire una moda. Nefasta, appunto.
E non saremo certo noi, "nostalgici" di quella musica e di quegli anni
['60 '70], colmi di ideali a dire ciò che è giusto e ciò che vale.
Non censura, mai, ignorarli certo, per la loro ignoranza.
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