📰 Schermi Riflessi di Armando Lostaglio. Frinire di cicale
Dall’infanzia al crepuscolo vitale,
è questo il suono che accompagna il ricordo, il fonema, l’aspetto uditivo
di un linguaggio quali onde sonore che ci spingono indietro nel tempo.
E
da quella musica naturale il film di ciascuno di noi ridiventa d’un tratto
visionario, trasognante; ecco la memoria va alle pesche nel vino, ai
cubetti di ghiaccio per raffreddare le bevande: spuma la chiamavano
quella gasatissima tutta colorata; e le gazzose; tutti appollaiati nei
pomeriggi che sembravano interminabili con la luce abbagliante che
inesorabile rifletteva le pietre roventi del quartiere.
Sdraiati su quelle
sedie allungate fatte di fili di gomma colorata.
Il gelato al limone (che
intonava Paolo Conte) e la più famosa Azzurro dalla voce di Celentano.
Ghiaccioli e Copparica, cucciolone e camillino facevano a gara nelle ore
sudate.
Lo stecchino del ghiacciolo era utile per scrivere t’amo sulla
sabbia.
Il Festivalbar nei juke-box precursore dei raduni musicali di piazza
o da stadio di questi ultimi decenni.
L’odore più tipico resta quello delle
creme solari per ungere il corpo e rimanere i più abbronzati possibile.
Il
sole di quegli anni non faceva paura, non si aveva bisogno di protezione
50.
Il rumore sordo dei tamburelli ping-pong sul bagnasciuga: sapore di
sale sapore di mare, con i film musicarelli di Little Tony e Gianni Morandi,
Albano e Romina (praticamente immortali tutt’oggi sui giornali dei
parrucchieri); e quel sorpasso generazionale di Gassman e Trintignant;
eppure quelli più colti amavano Antonioni e recitavano il “ci vediamo
domani e dopodomani…” di Alain Delon e Monica Vitti.
La nostra riviera
“romagnola” aveva un solo nome: Margherita, abbreviativo della località
marina più vicina, Margherita di Savoia, quella delle saline e delle terme
per bambini, fissazione declinata a un rituale di ogni mamma nei decenni
a venire.
Noi si andava col “postale” di buon mattino, solo un
asciugamano e i soldi per il biglietto e l’ombrellone al Lido Gabbiano o
all’Albatros. Comitive squattrinate ma cariche di ormoni e di entusiasmo.
Il sole riscaldava ogni attimo, fino al rientro triste del pomeriggio in quel
bus dalle lamiere incandescenti.
Ad attenderci “i campi pieni di silenzio /
anche se i grilli cantavano / con le zampette” ci ricordava il poeta pacifista
Ferlinghetti.
Grilli notturni a eludere il sonno che non veniva, a scaldare i
sogni che si ostinavano a tradirci per gli amori disillusi: “poteva essere
causa di sofferenza, mai di gioia…” ci ha rammentato più tardi Proust.
Eppure, qualcosa rimane fra le pagine chiare e le pagine scure.
Il punto d’incontro dell’Altrove ci sorregge, ci sospinge e ci fa spostare
l’orizzonte più in là.
Sta nel fondo dei tuoi occhi, sulla punta delle labbra.
Le canzoni alla radio,
l’emigrazione, il ritorno: ineffabili inguaribili anni ’70.
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