📰 Segnalazione. A Genzano di Lucania la presentazione dei restauri dell'organo e dei dipinti del 700
A Genzano di Lucania il 25 marzo, a conclusione dei lavori di restauro della cassa dell’organo settecentesco e di tre dipinti, (anch’essi settecenteschi), saranno esposte nella Chiesa del trecentesco Complesso monastico di S. Maria Annunziata di Genzano di Lucania.
Il restauro è stato reso possibile grazie ad una raccolta pubblica di fondi.
La Chiesa e il Complesso monastico di S. Maria Annunziata, di Genzano di Lucania, è stato candidato luogo del Cuore FAI nel 2022 e votato da 10.481 persone.
il Complesso monastico di S. Maria Annunziata è visitabile dal 22 al 23 marzo prossimi.
L’evento, promosso dalla Parrocchia di S. Maria della Platea-Maria SS. delle Grazie e dall’Associazione dell’Annunziata con il patrocinio del Comune di Genzano di Lucania e l’adesione dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma, della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio della Basilicata e della Direzione regionale del FAI Basilicata, è meritevole di attenzione per il gesto di cittadinanza attiva compiuto dalla comunità di Genzano e per il virtuoso e proficuo rapporto instauratosi tra la Scuola di Alta Fomazione e Studio di Matera e il suo territorio di riferimento.
Il monastero della SS. Annunziata è posto all’estremità nord del promontorio su cui sorgeva il castrum Gentiani, l’antico borgo fortificato di Genzano di Lucania, a poca distanza dal tratto lucano dell’Appia antica.
Fu fondato dalla nobildonna
Aquilina di Monteserico che aveva maturato la sua decisione negli ambienti della
corte napoletana da lei frequentati, condividendone gli ideali spirituali e
profondamente religiosi che la travagliavano in quel periodo e assecondando lo zelo
devozionale che nutriva per l’ordine di Santa Chiara, seguendo in tal modo l’esempio
e la vocazione alla pratica religiosa della regina Sancia di Maiorca, seconda moglie
di Roberto d’Angiò, che nel 1312 aveva fondato il monastero del Corpus Christi a
Napoli, assunto a modello per la forma di vita di quello da lei fondato a Genzano.
Nel 1349 fu fatto demolire per esigenze militari da Roberto Sanseverino, genero di
Aquilina, e dopo pochi anni dallo stesso ricostruito per essere assolto dalla
scomunica comminatagli da papa Clemente VI.
Fu riedificato sulle rovine di quello
preesistente con criteri costruttivi e caratteristiche architettoniche conformi a quelli
dell’edilizia locale e rifiniture interne sobrie e semplici, in linea con i canoni di povertà
e semplicità per l’edilizia religiosa prescritti dai Capitoli Generali francescani.
Nel
corso dei secoli è stato più volte ampliato con la costruzione di nuovi corpi di fabbrica
che non hanno tuttavia modificato l’originario impianto distributivo a forma compatta,
tuttora riconoscibile nonostante i diversi crolli subiti. Gli edifici a due piani disposti su
tre lati del chiostro a formare con il lato lungo della chiesa il caratteristico quadrilatero
con il pozzo al centro e il retrostante giardino dal quale si può osservare il suggestivo
paesaggio del sottostante vallone dei Greci, con vista sull’antico fonte di Capo
d’Acqua e il monte Vulture sullo sfondo.
Le murature esterne a conci irregolari di
pietra arenaria a vista, gli orizzontamenti del piano terra voltati a botte o a crociera e
gli spioventi di copertura in legno, entrambi presidiati con centine e altre opere
provvisionali.
Il cenobio è stato ininterrottamente abitato fino al 1905 dalle religiose dell’Ordine di
S. Chiara. Successivamente, passato in proprietà del Comune di Genzano di
Lucania, è stato adibito a diversi usi civili fino alla metà del secolo scorso, prima di
essere abbandonato all’incuria e al degrado.
La chiesa fu edificata negli stessi anni come oratorio attiguo al monastero sui
ruderi della chiesa di S. Vitale, di pertinenza della vicina Abbazia di Banzi, la cui
preesistenza è indicata in una fonte documentale del ‘700.
Si trattava di un piccolo
edificio religioso rivolto ad oriente, secondo il simbolismo religioso dell’alto medioevo,
del quale nel corso degli ultimi lavori di restauro, eseguiti alla fine degli anni ottanta
del secolo scorso, sono state rinvenute le tracce fondali dei basamenti dell’abside e
dei pilastri di sostegno del doppio ordine di archi a tutto sesto, su cui poggiava la
copertura lignea a due spioventi, che scandivano le tre navate che lo connotavano.
Nei secoli successivi è stata ampliata e trasformata nell’organismo architettonico a
navata unica che si vede oggi, con l’aula a forma di ottagono irregolare allungato
coperta da una volta a botte lunettata.
L’edificio religioso ha la facciata a terminazione rettilinea in pietra arenaria locale
a conci irregolari che si apprezza per l’equilibrio compositivo degli elementi che la
connotano: il campanile coperto da cupoletta ottagonale con campane fuse nel ‘500;
le tre aperture del registro superiore inframezzate da due orologi solari riquadrate da
fasce di intonaco chiaro; il cornicione di coronamento con le sue romanelle di coppi
e laterizi e la sottostante fascia con finitura ad intonaco rustico, un tempo decorata
con elementi geometrici monocromatici; il portale cinquecentesco in pietra calcarea
incisa e scolpita, inquadrato lateralmente da paraste poggianti su alti piedistalli e
capitelli compositi, sui quali poggia l’architrave ai cui estremi è definito da entrambi i
lati dall’arma partita di Giacomo Alfonso Ferrillo e di sua moglie Maria Balsa, conti di
Muro e signori di Acerenza e Genzano nei primi decenni del 1500.
L’interno è
costituito dall’atrio e dall’aula ecclesiale a forma di ottagono irregolare allungato, con
volta a botte unghiata, con lunette che inquadrano quattro grandi finestre, e
sfaccettature nei quattro angoli dove alloggiano altrettante porte di legno intagliato e
dipinto a finti marmi, due delle quali immettono in locali di servizio, una al
confessionale esterno e l’altra a un altare a mensa semicircolare e tabernacolo in
stucco dorato incassato nel muro.
Su di esse campeggiano quattro dipinti del XVIII
secolo, uno dei quali, quello raffigurante S. Michele Arcangelo, è attribuibile a un
pittore napoletano della cerchia giordanesca.
E, più in alto, quattro aperture chiuse
da gelosie trilobate contornate da cornice di stucco dalle quali le clarisse seguivano
le funzioni religiose.
L’altare maggiore, in passato addobbato con alcune serie di palme di rame
argentata e candelieri in legno con lamina in rame stampigliata e dipinta, è in
muratura rivestita con intonaco e stucco marmoresco policromo con al centro della
mensa un tabernacolo con copertura a cipolla, ornato con tre testine di cherubini.
Sul
muro retrostante si trovano l’apertura di accesso alla sacrestia interna, la ruota e il
comunicatorio.
Sui lati lunghi dell’aula ecclesiale, in due coppie di cappelle disposte
simmetricamente una di fronte all’altra, sono collocati quattro altari minori.
Nei primi
due sono alloggiate le statue in legno intagliato e dipinto di San Francesco e Santa
Chiara della fine del XVIII secolo, e negli altri si ammirano due dipinti del XVIII secolo,
riquadrati con splendide cornici lignee eseguite verso la metà del XVIII secolo da un
abile intagliatore lucano.
La tela a sinistra raffigurante l’Annunciazione è di incerta
attribuzione, l’altra, raffigurante la Sacra Famiglia, è stata eseguita nel 1757 dal
solimenesco Paolo de Majo.
Tra le cappelle del lato destro, addossato al pilastro che le separa, è ammirabile,
infine, un pregevolissimo pulpito ligneo del XVIII secolo con cassa a tre facce
convesse poggiante su una base a bulbo, recante frontalmente uno stemma con
elementi figurativi simili a quello del Comune di Genzano, e copertura a baldacchino
rifinita con nappe dorate.
Solitamente la chiesa è chiusa e disadorna dell’argenteria sacra inventariata nel
1981 dalla Soprintendenza per i beni artistici e storici di Matera, comprendente
diversi elementi di rilievo.
Tra i quali alcune carte gloria con lamina d’argento
sbalzata, bulinata o cesellata, due raffinate corone d’argento, un calice d’argento e
rame dorato del XVII secolo, un ostensorio del 1722 ricco di fregi decorativi e raffinati
effetti cromatici e uno sportello di tabernacolo di manifattura napoletana del 1705 in
lamina d’argento, incisa, laminata e bulinata, raffigurante la scena
dell’Annunciazione.
A questi si aggiungono i paramenti sacri recentemente rinvenuti e non ancora
inventariati.
Pianete, stole, manipoli, buste e veli da calice finemente e
accuratamente ricamati, forse dalle suore dell’attiguo monastero, su orditi di seta con
trame di oro lamellare o di argento filato, per impreziosire e rendere più sontuosi i
repertori ornamentali adottati.
Scheda storica a cura dell’Arch. Nicola M. Menchise, Referente FAI di Genzano di Lucania
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